Riprendo un passo dell'omelia del Papa per la solennità del Corpus Domini, nella quale si rivolge ai sacerdoti esortandoli ad essere uniti a Cristo, quale condizione necessaria per una vera fecondità pastorale. Esortazione che vale per tutti, e quindi anche per i diaconi, quali collaboratori del vescovo e del suo presbiterio.

Alle volte il nostro "fare", anche in favore del prossimo, lascia il vuoto nel nostro intimo; e siamo stanchi, "fuori" e "dentro"… Mi sono accorto quanto piena invece è la vita se il mio fare è frutto di una interiorità che ha la sua radice in Dio, nel rapporto personale con Lui. Diversamente è la sterilità completa, anche se sgobbo dalla mattina alla sera, anche se credo di essere utile agli altri, anche se gli amici mi applaudono…
Il frutto che Dio si aspetta da me nasce da questo "rimanere" unito a Lui.
Ho capito che per sentirmi interiormente libero e fidarmi totalmente di Dio non devo essere attaccato a nulla, ma dare tutto… la mia stessa identità di diacono che magari voglio a qualsiasi costo mettere in risalto perché gli altri capiscano. Alle volte si sperimenta una sorta di deserto interiore ed esteriore, legato alla sofferenza che la comprensione della chiamata al diaconato comporta. Tutto questo mi ha fatto capire che Dio mi vuole tutto per sé, al di là di me. E che mi fidi solo di Lui, concretamente… Non tanto dire chi sono, ma esserlo solamente!
… e chiunque potrà capire.
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