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mercoledì 30 marzo 2022

«Non stanchiamoci di fare il bene…» [8]


Riprendo questa ultima riflessione sul Messaggio di papa Francesco, dove siamo invitati, con le parole di san Paolo a "non stancarci di fare il bene" per una mietitura che non ci mancherà (cf. Gal 6,9-10a).

"Se non desistiamo, a suo tempo mieteremo". È un cammino che si compie "un passo alla volta", senza fretta di vedere subito i frutti. Occorre "la pazienza costante dell'agricoltore" per sperimentare che il risultato non dipende solo da noi, dai nostri sforzi spesso contagiati da orgoglio perfezionista. I nostri sforzi sono purificati e sostenuti dalla forza dello Spirito.
Il bene che seminiamo è "come l'amore, la giustizia e la solidarietà" che "non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno". E questo processo di maturazione ci mantiene nell'umiltà, nella coscienza dei nostri limiti, nella vigilanza, nel desiderio di ricominciare sempre.
Cadiamo? Tendiamo "la mano al Padre che sempre ci rialza". Ci sentiamo smarriti "ingannati dalle seduzioni del maligno"? Non indugiamo nel riprenderci e "ritornare a Lui che largamente perdona". Sostenuti dalla "grazia di Dio" e dalla "comunione della Chiesa", "non stanchiamoci di seminare il bene", aiutati dal "digiuno" che "prepara il terreno", dalla "preghiera" che "irrora", dalla "carità" che "feconda".
Ogni nostro impegno quaresimale ha il suo terreno di azione preferito nell' "amore fraterno verso tutti", "uniti a Cristo che ha dato la sua vita per noi", nell'attesa della "gioia del Regno dei cieli, quando Dio sarà tutto in tutti".
Se non ci stanchiamo di "seminare il bene", sorretti dall'amore materno di Maria, possiamo ottenere "il dono della pazienza", "affinché questo tempo di conversione porti frutti di salvezza eterna".

Nota: I virgolettati sono tratti dal testo del Messaggio.

martedì 29 marzo 2022

«Non stanchiamoci di fare il bene…» [7]


Sempre dalla rilettura del Messaggio di papa Francesco, dove siamo invitati, con le parole di san Paolo a "non stancarci di fare il bene" per una mietitura che non ci mancherà (cf. Gal 6,9-10a).

"Non stanchiamoci di fare il bene nella carità operosa verso il prossimo". È questo il modo migliore e più immediato per indirizzare i nostri spazi per una vera conversione, soprattutto in questo tempo di Quaresima. Ogni nostro desiderio di maggior perfezione trova nell'amore al prossimo la via maestra, dove siamo invitati ad uscire da noi stessi per accogliere l'altro.
Se nel periodo di Quaresima siamo invitati a praticare l'elemosina, a fare dono di qualcosa di nostro per venire incontro al bisogno di chi è meno fortunato di noi, san Paolo ci esorta a farlo "donando con gioia", perché il Signore ama chi dona con gioia (cf. 2Cor 9,7). Facendo dono a chi è nel bisogno di qualcosa di cui possiamo privarci, non facciamo del bene a chi necessita del necessario, ma noi stessi ne beneficiamo perché sperimentiamo la gioia di poter "essere generosi nell'operare il bene verso gli altri".
Nella vita occorre seminare, e "seminare bene", "in modo particolare in questa Quaresima per farci prossimi a quei fratelli e sorelle che sono feriti sulla strada della vita. La Quaresima è tempo prezioso per esercitarsi, allenandoci per essere pronti, in qualsiasi momento, per cercare, e non evitare chi è nel bisogno; per chiamare, e non ignorare, chi desidera ascolto e una buona parola; per visitare, e non abbandonare, chi soffre la solitudine".
È una via di amore, una via di perfezione, dove nella carità vissuta acquistiamo tutte le virtù, senza piegarci su noi stessi. Così, per esempio, per avere la virtù della pazienza ci alleniamo all'ascolto sincero del fratello; per essere casti, amiamo senza interesse, senza quel sentimento di possesso che spesso sottende nel rapporto con gli altri; per essere poveri, condividiamo quello che abbiamo con chi è nel bisogno.
La carità è la via maestra per un cammino di santità. Per essere tutti di Dio, che non vediamo, amando i fratelli che vediamo (cf. 1Gv 4,20).
Allora "mettiamo in pratica l'appello a operare il bene verso tutti, prendendoci il tempo per amare i più piccoli e indifesi, gli abbandonati e disperati, chi è discriminato ed emarginato".

Nota: I virgolettati sono tratti dal testo del Messaggio.

lunedì 28 marzo 2022

«Non stanchiamoci di fare il bene…» [6]


Riprendo la rilettura del Messaggio di papa Francesco, dove siamo invitati, con le parole di san Paolo a "non stancarci di fare il bene" per una mietitura che non ci mancherà (cf. Gal 6,9-10a).

"Non stanchiamoci di fare il bene…".
Nel cammino ci si stanca, alle volte si pensa di non farcela. Eppure non siamo soli in questa lotta. Il Signore è sempre con noi, anche se, per la polvere che ricopre il nostro cuore o la nebbia che offusca la nostra vista, ci sembra che gli piaccia starci lontano, non farsi sentire. Eppure è lì! Presente in noi, presente nei nostri fratelli.
L'orgoglio che sempre ci tarpa l'anima è come una tenaglia che ci tiene ripiegati su noi stessi. Abbiamo bisogno di riconciliarci con noi stessi per aprirci alla riconciliazione col Padre che "non si stanca mai di perdonare".
Allora, "non stanchiamoci di chiedere perdono nel sacramento della Penitenza e della Riconciliazione".
La "concupiscenza" è come una calamita che ci tiene legati al nostro ego, a un continuo ripiegarci su noi stessi, mettendo in risalto "quella fragilità che spinge all'egoismo e ad ogni male".
Occorre uscire da noi stessi, dal nostro narcisismo, dal nostro ripiegarci su noi stessi, spesso resi dipendenti dai mezzi digitali che ci attirano, ci isolano con l'illusione di essere in contatto con il mondo intero. È un'insidia reale. Questo periodo di Quaresima ci sprona a "coltivare una più integrale comunicazione umana fatta di «incontri reali», a tu per tu". Quanto spesso liquidiamo un rapporto con una semplice chat, un messaggino sul cellulare, quando invece occorrerebbe aprire la comunicazione reale, sentire la voce dell'altro, vedersi negli occhi. Non siamo fatti per incontri virtuali, ma per incontri reali.
D'altro canto non possiamo dire di aver incontrato il Signore se non lo percepiamo realmente nel nostro intimo e nell'incontro con i fratelli. E nel nostro annuncio di speranza e di luce a cui siamo chiamati, anche noi dobbiamo poter dire, anche se in modo diverso, «ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (cf. 1Gv 1,1.3).

Nota: I virgolettati sono tratti dal testo del Messaggio.

venerdì 25 marzo 2022

La gioia piena di figli riconciliati


4a domenica di Quaresima (C)
Giosuè 5,9a.10-12 • Salmo 33 • 2 Corinzi 5,17-21 • Luca 15,1-3.11-32
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

In questa domenica, quarta di Quaresima detta "Laetare", siamo invitai a "rallegrarci", a "sfavillare di gioia" per poter gioire e saziarci al seno delle consolazioni di cui la città santa, Gerusalemme, figura di ogni città dove si sperimenta la presenza di Dio, è portatrice perché siamo usciti dal lutto, dalla tristezza dell'abbandono di Dio causata dai nostri peccati (cf. Antifona d'ingresso: Is 66,10-11). È preludio alla gioia pasquale nella quale il Signore risorto incontra la sua Sposa, la Chiesa, purificata e resa candida dal sangue dello Sposo.
Ci eravamo allontanati, ma ora rientrati in noi stessi, in questo cammino quaresimale segno sacramentale di ogni percorso di conversione, siamo accolti a braccia aperte, come il secondogenito della parabola del vangelo odierno, accolto dal Padre traboccante di misericordia. In Gesù, il Padre accoglie "tutti i pubblicani e i peccatori" assetati della sua Parola (cf. Lc 15,1). È un amore che lascia sempre liberi, che attende sempre il ritorno di chi si è allontanato.
Anche noi, come il figlio minore, rinsaviti dopo aver constatato che la realtà che desideravamo non era come l'avevamo immaginata; anzi, la fame e l'estrema precarietà ci hanno fatto rinsavire: "ho peccato verso il Cielo e davanti a te" tanto da non sentirmi più figlio.
Se l'essere padre è frutto di libertà, l'essere figlio non è frutto di una scelta: non si sceglie né di nascere né da chi. Infatti, l'altro peccato del figlio è proprio questo: pensare che si può anche volere di non essere figlio: non è così. Si è figli comunque e la conversione non consiste tanto nel diventare migliori o più degni per meritare la grazia di Dio. La conversione è accettare Dio come un Padre che ama sempre, con gratuità senza limiti e senza riserve. E questo amore paterno è espresso dalla intima viscerale commozione nel vedere "ancora lontano" il figlio che ritorna; dal correre (atteggiamento non proprio abituale per un orientale) e dal gettarsi al collo, dal "cadergli addosso"; dal baciarlo quale segno del perdono. Dal far festa "per chi era perduto ed è stato ritrovato, per chi era morto ed è tornato in vita" (cf. Lc 15, 24.32).
È la gioia del Padre perché siamo stati riconciliati: nel Figlio Gesù "siamo una nuova creatura; "le cose vecchie sono passate, ne sono nate di nuove", perché Lui, il Figlio, "che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio" (cf. 2Cor 5,17-21; II lettura).
Tuttavia, dalla parabola ci viene un monito, per tutti (soprattutto per coloro che ritengono di non essersi mai allontanati dalla casa del padre), a non essere come il figlio maggiore, che "si indignò" per il trattamento riservato al fratello scapestrato. Questa ira e questo "non voler entrare in casa" è il contrario della compassione del padre che "esce a pregarlo". Anche lui è figlio ed è anche verso di lui che il padre si muove per primo. Questo primogenito non riconosce più come fratello il figlio minore e considera il padre non più come suo padre e lo tratta come un padrone al cui servizio lavora come schiavo.
Il più grande peccato è non credere all'amore di Dio, ma sentirsi giustificati per il nostro operare.
L'amore del Padre invece è come una luce che squarcia le tenebre della nostra condizione e le dona la gioia piena di figli riconciliati.

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Vedi anche: Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza): Si alzò e tornò da suo padre (Lc 15,20) (vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro (Lc 15,20) - (31/03/2019)
(vai al testo)
 E cominciarono a far festa (Lc 15,24) - (06/03/2016)
(vai al testo)
  l Padre lo vide, ebbe compassione e gli corse incontro (Lc 15,20) - (10/03/2013)
( vai al testo…)
 Era perduto ed è stato ritrovato (Lc 15,24) - (12/03/2010)
(vai al post "L'abbraccio della riconciliazione")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Essere "figlio"... più forte di ogni cosa (29/03/2019)
  Le intime fibre del cuore del Padre (04/03/2016)
  La gioia di essere perdonati ed accolti (08/03/2013)

Commenti alla Parola:
  di Antonio Savone (VP 3.2022)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 3.2019)
  di Luigi Vari (VP 2.2016)
  di Marinella Perroni (VP 2.2013)
  di Claudio Arletti (VP 2.2010)
  di Enzo Bianchi

(Immagine: Gli si gettò al collo, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, marzo 2014)

giovedì 24 marzo 2022

«Non stanchiamoci di fare il bene…» [5]


Sempre dalla rilettura del Messaggio di papa Francesco, dove siamo invitati, con le parole di san Paolo a "non stancarci di fare il bene" per una mietitura che non ci mancherà (cf. Gal 6,9-10a).

Aver posto la fiducia in Dio che mai delude, mi spinge ad un rapporto personale e intimo sempre più profondo e sincero con il Padre della misericordia. Occorre "pregare sempre, senza stancarsi mai", mantenere un costante riferimento con Dio.
Abbiamo bisogno di Lui: "abbiamo bisogno di pregare, perché abbiamo bisogno di Dio".
Fidarsi solo di noi stessi è pura illusione, credere di "bastare a noi stessi è una pericolosa illusione".
Abbiamo sperimentato, in questo periodo di pandemia, la "nostra fragilità personale e sociale". Ma ora è il momento che ci viene offerto, il momento per vivere in profondità questo periodo di Quaresima che ci permette di "sperimentare il conforto della fede in Dio, senza la quale non possiamo avere stabilità".
Abbiamo bisogno di Dio, abbiamo bisogno di sentirci fratelli, figli dello stesso Padre. "Nessuno si salva da solo, perché tutti siamo sulla stessa barca tra le tempeste della storia; ma soprattutto nessuno si salva senza Dio".
Il Padre ci è venuto e ci viene incontro nel Figlio Gesù. Solo nel mistero della sua morte e risurrezione sperimentiamo "la vittoria sulle oscure acque della morte". Certo, non siamo esentati, come non lo è stato per Gesù, dall'affrontare il dolore e la morte. "La fede non ci esime dalle tribolazioni della vita, ma permette di attraversarle uniti a Dio in Cristo".
È Lui - e noi uniti a Lui - che porta le nostre croci e ci dà la forza per superare ogni vento contrario ed ogni trabocchetto che il diavolo ci prepara. Da Lui, per mezzo del suo Spirito, ci viene "la grande speranza che non delude e il cui pegno è l'amore che Dio ha riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo".
È Lui che ci spinge a ci suggerisce in ogni momento: "Non stanchiamoci di pregare".

Nota: I virgolettati sono tratti dal testo del Messaggio.

mercoledì 23 marzo 2022

«Non stanchiamoci di fare il bene…» [4]


Sempre dalla rilettura del Messaggio di papa Francesco, dove siamo invitati, con le parole di san Paolo a "non stancarci di fare il bene" per una mietitura che non ci mancherà (cf. Gal 6,9-10a).

"Non stanchiamoci di fare il bene" ci viene ripetuto con insistenza. Sì, non stancarsi!
"Di fronte all'amara delusione per tanti sogni infranti" è molto facile lasciarsi andare. Era troppo bello! La realtà è un'altra… Ci ho creduto… forse mi sono illuso… Probabilmente mi sono fidato troppo di me stesso…
È facile cedere alla tentazione "di fronte alla preoccupazione per le sfide che incombono, di fronte allo scoraggiamento per la povertà dei nostri mezzi". Le contraddizioni di questa nostra società, le guerre che infuriano senza pietà, con lo smacco che la ricerca del proprio interesse, personale e politico, ci si ritorce contro. E ci illudiamo che il nostro operare è per il bene comune, constatando che i risultati sperati tardano a farsi vedere.
Dove si è sbagliato? Vale ancora la pena di darsi da fare? Allora ci assale "la tentazione di chiuderci nel proprio egoismo individualistico e rifugiarsi nell'indifferenza alle sofferenze altrui". Tentazione grande! Sempre in agguato!
"Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono", ci ripete Isaia (Is 40,30).
Forse ci siamo dimenticati di Dio? Mi sono forse dimenticato che Dio è con me, sempre? Ho creduto solo a parole e di fronte alle difficoltà ho ceduto? Riprenditi! Rientra in te stesso e rinnova la tua fede! Il Signore è qui con me! Egli "dà la forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato", perché "quanti sperano nel Signore riacquistano forza, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi" e, meraviglia, "mettono ali come aquile" (Is 40,29.31).
Sì, questo tempo di Quaresima è il momento opportuno, favorevole, per passi decisivi, scelte coraggiose, e "riporre la nostra fede e la nostra speranza nel Signore, perché solo con lo sguardo fisso su Gesù Cristo risorto possiamo accogliere l'esortazione dell'Apostolo: «Non stanchiamoci di fare il bene» (Gal 6,9)".
Sì, in Lui ho posto la mia fiducia, in Lui che continua a ripetermi. «Ti basta la mia grazia!» (2Cor 12,9).

Nota: I virgolettati sono tratti dal testo del Messaggio.

lunedì 21 marzo 2022

«Non stanchiamoci di fare il bene…» [3]


Riprendo la rilettura del Messaggio di papa Francesco, dove siamo invitati, con le parole di san Paolo a "non stancarci di fare il bene" per una mietitura che non ci mancherà (cf. Gal 6,9-10a).

Se in verità non potremo vedere tutti i frutti della nostra semina, noi seminiamo, anzi il Padre semina in noi e con noi, per raccogliere a suo tempo frutti che non periscono.
Se la Parola è accolta ed è fatta fruttificare nella nostra vita, allora sarà essa ad aprirci orizzonti nuovi, di vita piena, orizzonti che hanno sapore di eternità. Ci porterà alla comprensione che se la vita si costruisce qui su questa terra, ha il suo compimento in Cielo. La Parola infatti "ci annuncia che la mietitura più vera è quella escatologica, quella dell'ultimo giorno, del giorno senza tramonto".
Il vero frutto di ciò che il Seminatore ha seminato sarà una vita piena: "il frutto compiuto della nostra vita e delle nostre azioni è il «frutto per la vita eterna» (Gv 4,36), che sarà il nostro «tesoro in cielo» (Lc 12,33; 18,22)". Sarà una vita piena, soprattutto perché non solitaria, ma fatta in comunione coi nostri fratelli e sorelle, in un comune cammino verso la casa che ci attende nel cuore della Trinità.
Sappiamo bene però che il seme per dare frutto deve morire, come ci ricorda Gesù nel vangelo. Lui il Seme "che muore nella terra e fruttifica" nel "mistero della sua morte e risurrezione".
C'è un modo privilegiato dove questo seme seminato in noi può portare frutto: è quando noi moriamo per amore nel fratello, facendoci uno con lui, condividendo ogni cosa, bella o meno bella. È un morire in noi per risorgere in Cristo Gesù. Questo esercizio quotidiano mantiene viva la nostra fede nella "risurrezione del nostro corpo". San Paolo ce lo ricorda: il nostro corpo "è seminato nella corruzione, risorge nell'incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale (1Cor 15,42-44)".
Questa è la speranza che ci anima e ci spinge con coraggio, con la forza dello Spirito, a donare la nostra vita a Dio nei nostri fratelli, nella sua volontà. Uniti a Cristo nella sua morte, saremo "uniti alla sua risurrezione per la vita eterna". È il nostro meraviglioso destino: splendere "come il sole nel regno del Padre" (Mt 13,432)".

Nota: I virgolettati sono tratti dal testo del Messaggio.

(Immagine: Se il chicco di grano non muore…, di Bernadette Lopez, 2018)

sabato 19 marzo 2022

Custodi col cuore di Giuseppe


Solennità di San Giuseppe.

Nel rileggere la lettera apostolica Patris Corde di papa Francesco ho trovato molti spunti che mi hanno aiutato a mettere a fuoco aspetti importanti del mio servizio diaconale.
Papa Francesco ha definito il diacono "custode del servizio". Ed è significativo prendere ad esempio il "custode" per eccellenza, san Giuseppe.
Nel rileggere la lettera apostolica mi viene spontaneo riportare (sono i virgolettati) alcuni tratti della spiritualità del servizio, così ben realizzata in Giuseppe, padre di Gesù di Nazaret e sposo della vergine Maria.
Un tratto specifico della spiritualità diaconale è l'accoglienza. "La vita spirituale che Giuseppe mostra - scrive papa Francesco - non è una via che spiega, ma una via che accoglie". Il diacono è appunto colui che sa mettersi al servizio degli altri senza imporsi, testimoniando che l'amore di Dio è un amore che accoglie sempre tutti. Così, "l'accoglienza di Giuseppe ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono, riservando una predilezione ai deboli, perché Dio sceglie ciò che è debole".
Non è forse distintivo del diacono essere segno e presenza di questa accoglienza che ci fa sperimentare la tenerezza di Dio? "Gesù ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono» (Sal 103,13). Giuseppe avrà sentito certamente riecheggiare nella sinagoga, durante la preghiera dei Salmi, che il Dio di Israele è un Dio di tenerezza".
Sperimentando questa tenerezza di Dio, comprendiamo che accogliere tutti significa non fare "affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi", ma comprendiamo che "la maggior parte dei disegni di Dio si realizzano attraverso e nonostante la nostra debolezza". Per questo, "dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza". Sappiamo infatti che ciascuno di noi occupa un posto speciale nel cuore del Padre.
Inoltre, constatando che spesso, sentendoci frustrati ed incompresi nel nostro ministero diaconale, possiamo guardare "san Giuseppe come a colui che non indietreggia di fronte alle difficoltà, ma sa affrontarle con coraggio creativo". Infatti, "sono a volte proprio le difficoltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere".
Nella vita di Giuseppe troviamo come "il Cielo interviene fidandosi del coraggio creativo di quest'uomo", nelle varie situazioni in cui si è venuto a trovare, a Betlemme quando Maria sta per partorire e non trovano alloggio o "davanti all'incombente pericolo di Erode che vuole uccidere il Bambino", organizzando nella notte la fuga in Egitto.
Da Giuseppe, poi, impariamo a cogliere la presenza di Dio anche quando "sembra non aiutarci"; "ciò non significa che ci abbia abbandonato, ma che si fida di noi, di quello che possiamo progettare, inventare, trovare".
Solo così, con questa fiducia in cuore il nostro servizio diaconale potrà essere fecondo della fecondità di Dio. Sarà un servizio rivolto soprattutto ai "fratelli più piccoli", presenza reale di Gesù fra noi. "Così ogni bisognoso, ogni povero, ogni sofferente, ogni moribondo, ogni forestiero, ogni carcerato, ogni malato sono il Bambino che Giuseppe continua a custodire".
Con questi sentimenti nell'anima possiamo sperimentare la gioia e la libertà di essere un dono per i fratelli. Infatti, "la logica dell'amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo se stesso al centro. Ha saputo decentrasi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù".
"La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma nel dono di sé. Non si percepisce mai in quest'uomo frustrazione, ma solo fiducia".
Per noi diaconi, che spesso ci lamentiamo di non essere sufficientemente considerati, "san Giuseppe ci ricorsa che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti e in 'seconda linea' hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza".

(Immagine: Icona raffigurante San Giuseppe, dipinta a mano su legno con tecniche bizantine di Liviu Balac)

venerdì 18 marzo 2022

La pazienza di Dio non si logora nell'attesa


3a domenica di Quaresima (C)
Esodo 3,1-8a.13-15 • Salmo 102 • 1 Corinzi 10,1-6.10-12 • Luca 13,1-9
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Siamo nel cuore del cammino quaresimale e l'invito alla conversione si fa più pressante. Gesù, nel brano evangelico proposto per questa domenica (cf . Lc 13,1-9), partendo da alcuni fatti tragici di cronaca, ci dice chiaramente e senza mezzi termini che la radice di ogni male sta nel cuore dell'uomo.
È sempre presente l'interrogativo che troppo spesso ci si pone: dov'è Dio quando succedono queste catastrofi? Dov'è Dio oggi in questa guerra imperante, dove persone inermi, bambini, donne, anziani muoiono sotto le bombe e sono costretti a fuggire? Ma anche: perché chiamare in causa Dio, essere convinti della sua esistenza, cercare argomenti per affermarla o negarla, e vivere una vita lontani da Lui? La ragione è che il nostro cuore è lontano da Lui. Le tragedie succedono o per l'incuria degli uomini, come per la torre di Siloe costruita forse con materiale scadente come succede purtroppo anche oggi per la corruzione e le tangenti, o per la cattiveria degli uomini, per la sete di potere e di dominio, come il caso di Pilato e, oggi, per la pazzia di pochi che vogliono dominare il mondo.
È il cuore che deve cambiare! Non è sufficiente appartenere alla Chiesa, dirsi cristiani e comportarsi da nemici della croce di Cristo (cf. Fil 3,18). Il monito di san Paolo è sempre attuale: gli Israeliti, usciti dall'Egitto, "tutti furono battezzati nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale… Ma la maggior parte di loro non furono gradirti a Dio" (cf. 1Cor 10,2-3.5; II lettura).
"Se non vi convertite…" (cf. Lc 13,3.5), ci ripete Gesù!
Tuttavia, la parabola con cui termina il brano evangelico ci mostra come il cuore di Dio non si lascia mai prendere dalla fretta del giudizio o della condanna. Siamo invitati ad accogliere il tempo che Dio ci concede e che dilaziona a nostro vantaggio, per darci la possibilità di "zappare e concimare" il terreno del nostro cuore affinché possa portare frutto. Non dimentichiamo mai: il Signore non aspetta con le mani in mano che noi facciamo qualcosa di buono, ma Lui stesso sta con noi, "scende" in mezzo a noi, "conosce le nostre sofferenze (le ha provate di persona) e ascolta il nostro grido", come è stato per Mosè e gli Israeliti: "Io-Sono mi ha mandato a voi" (cf. Es 3,1-8a.13-15; I lettura). "Io-Sono" è il mio nome. Io-Sono sempre con te, cammino con te!". Il Signore ci aspetta a braccia aperte per tutta la durata della nostra storia.
La sua pazienza non si logora nell'attesa!

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo (Lc 12,3)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo (Lc 12,3) - (24/03/2019)
(vai al testo…)
 Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo (Lc 12,3) - (28/02/2016)
(vai al testo)
 Venne nella sua vigna a cercarvi frutti (Lc 13,6) - (03/03/2013)
( vai al testo…)
 Venne nella sua vigna a cercarvi frutti (Lc 13,6) - (05/03/2010)
(vai al post "I nostri frutti")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Conversione, ragione di vita (22/03/2019)
  Gesù per primo si è impegnato per me (26/02/2016)
  Frutti di conversione (01/03/2013)

Commenti alla Parola:
  di Antonio Savone (VP 3.2022)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 3.2019)
  di Luigi Vari (VP 1.2016)
  di Marinella Perroni (VP 2.2013)
  di Claudio Arletti (VP 2.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Lascialo ancora… Zapperò perché porti frutto, di Bernadette Lopez)

giovedì 17 marzo 2022

«Non stanchiamoci di fare il bene…» [2]


Riprendo questo cammino quaresimale con la rilettura del Messaggio di papa Francesco, dove siamo invitati, con le parole di san Paolo a "non stancarci di fare il bene" per una mietitura che non ci mancherà (cf. Gal 6,9-10a).

Convertirsi, cambiare mentalità: presupposto per una semina che possa dar frutto a suo tempo. Non è tanto il nostro seminare che è importante, quanto piuttosto essere "collaboratori" del "primo agricoltore" che "è Dio stesso, che con generosità continua a seminare nell'umanità semi di bene". Allora occorre essere in sintonia con Dio, "accogliendo la sua Parola «viva ed efficace»". L' "ascolto assiduo della Parola di Dio fa maturare una pronta docilità al suo agire che rende feconda la nostra vita". Solo la Parola accolta e testimoniata con una concreta vita coerente può cambiare il nostro modo di pensare e, di conseguenza, di agire. È una avventura dalle mille sorprese, non vissuta "come un peso, ma come una grazia con cui il Creatore ci vuole attivamente uniti alla sua feconda magnanimità".
È la Parola che ci purifica, Parola viva ed eterna che ci unisce a Gesù e ci fa entrare nella comunione con il Padre nello Spirito. Ed è in questa comunione trinitaria che potremo sperare in una mietitura abbondante.
Sì, perché se si semina è per raccogliere ciò per cui si è seminato. E da come seminiamo, così raccoglieremo, memori del monito di san Paolo che afferma: «Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà»" (2Cor 9,6).
Il primo frutto di questa mietitura comincerà da noi stessi. Io sarò il primo beneficiario di questa semina della Parola, perché non potrò portare ad altri il seme della Parola se prima non avrò riempito il mio cuore di essa, divenendo così vero collaboratore del solo Seminatore che è Dio. Allora i primi frutti di questa nostra accoglienza della Parola si potranno vedere "nelle nostre relazioni quotidiane, anche nei gesti più piccoli di bontà", perché "in Dio nessun atto di amore, per quanto piccolo, e nessuna generosa fatica vanno perduti". Si potrà così constatare la verità evangelica che "l'albero si riconosce dai frutti", perché "servire Dio, liberi dal peccato, fa maturare frutti di santificazione per tutti".
Tuttavia, non possiamo pretendere, egoisticamente, di vedere noi i frutti del nostro operare: li vedremo "solo in piccola parte", perché il vero Seminatore è il Padre, ben sapendo che "uno semina e l'altro miete" (Gv 4,37).
Questo disinteressato "seminare il bene per gli altri ci libera dalle anguste logiche del tornaconto personale e conferisce al nostro agire il respiro ampio della gratuità, inserendoci nel meraviglioso orizzonte dei benevoli disegni di Dio".

Nota: I virgolettati sono tratti dal testo del Messaggio.

(Immagine: Il seme e il seminatore, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, luglio 2012)


martedì 15 marzo 2022

«Non stanchiamoci di fare il bene…» [1]


In questo "tempo favorevole di rinnovamento personale e comunitario" della Quaresima mi faccio accompagnare dal Messaggio di papa Francesco, dove siamo invitati, con le parole di san Paolo a "non stancarci di fare il bene" er una mietitura che non ci mancherà (cf. Gal 6,9-10a).
È un invito forte quello a non stancarci, perché se saremo perseveranti "a suo tempo mieteremo". È il desiderio profondo di non sprecare le energie donateci dalla magnanimità del Padre della misericordia e non aver "faticato invano" (cf. Fil 2,16). Si semina per raccogliere a tempo debito, pur sapendo che non tutti i semi porteranno frutto.
Questo della Quaresima è un momento speciale, "un kairos, un tempo propizio per seminare in vista di una mietitura". Un tempo favorevole, paradigma che mette a fuoco la preziosità del tempo donatoci in questa vita, in "tutta l'esistenza terrena", per una mietitura piena, traboccante, che ci attende nell'abbraccio del Padre, nel seno della Trinità, in comunione con tutto il Paradiso.
Non c'è tempo da perdere! Troppo ne abbiamo, ne ho, perso! Ci ripetiamo spesso che occorre convertirci. Me lo ripeto ogni giorno… Ma non sempre la semina dei buoni propositi cade su un terreno buono. È troppo accidentato questo mio terreno, questa mia vita molto spesso in affanno, con lo sguardo rivolto più del necessario verso il basso, verso verità e bellezze effimere. Si cade, ci si ravvede, si ricomincia e, con la grazia dello Spirito, si cerca di perseverare.
Occorre una conversione "continua", un "cambiare mentalità, così che la vita abbia la sua verità e la sua bellezza non tanto nell'avere quanto nel donare, non tanto nell'accumulare quanto nel seminare il bene e nel condividere".
La vita è bella perché colma della tenerezza di Dio.

Nota: I virgolettati sono tratti dal testo del Messaggio.

domenica 13 marzo 2022

Costruire la pace col perdono


"Per rimuovere il pericolo della guerra - scriveva Igino Giordani - occorre rimuovere lo spirito di aggressione e sfruttamento ed egoismo dal quale la guerra viene: occorre ricostruire una coscienza". La Parola di Vita proposta per questo mese di ottobre 2022 ci invita a mettere in pratica quanto ripetiamo ogni giorno nella preghiera del Padre nostro: "Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori". Occorre ricostruire una coscienza. Ma come si fa a perdonare? Riporto a questo proposito uno scritto di Chiara Lubich.

«Perdonare. Perdonare sempre. Il perdono non è dimenticanza che spesso significa non voler guardare in faccia la realtà. Il perdono non è debolezza, e cioè non tener conto di un torto per paura del più forte che l'ha commesso. Il perdono non consiste nell'affermare senza importanza ciò che è grave, o bene ciò che è male. Il perdono non è indifferenza. Il perdono è un atto di volontà e di lucidità, quindi di libertà, che consiste nell'accogliere il fratello così com'è, nonostante il male che ci ha fatto, come Dio accoglie noi peccatori, nonostante i nostri difetti. Il perdono consiste nel non rispondere all'offesa con l'offesa, ma nel fare quanto Paolo dice: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci col bene il male" (Rm 12, 21).
Il perdono consiste nell'aprire a chi ti fa del torto la possibilità d'un nuovo rapporto con te, la possibilità quindi per lui e per te di ricominciare la vita, d'aver un avvenire in cui il male non abbia l'ultima parola.
(…) È dunque prima di tutto con gli altri tuoi fratelli nella fede che devi comportarti così: in famiglia, sul lavoro, a scuola o, se vi fai parte, nella tua comunità.
Lo sai come spesso si vuole compensare con un atto, con una parola corrispondente, l'offesa subita. Sai come per diversità di carattere, o per nervosismo, o per altre cause, le mancanze di amore sono frequenti fra persone che vivono insieme. Ebbene ricordati che solo un atteggiamento di perdono, sempre rinnovato, può mantenere la pace e l'unità tra fratelli.
Avrai sempre la tendenza a pensare ai difetti dei tuoi fratelli, a ricordarti del loro passato, a volerli diversi da come sono… Occorre che tu faccia l'abitudine di vederli con occhio nuovo e nuovi loro stessi, accettandoli sempre e subito e fino in fondo, anche se non si pentono.
Dirai: "Ma ciò è difficile". Si capisce. Ma qui è il bello del cristianesimo. Non per nulla sei alla sequela di un Dio che, spegnendosi in croce, ha chiesto perdono a suo Padre per chi gli aveva dato la morte».

(Chiara Lubich, in Parole di Vita, Città Nuova, 2017, pag. 218-219)

venerdì 11 marzo 2022

Vedere il volto di Dio nel volto del Figlio


2a domenica di Quaresima (C)
Genesi 15,5-12.17-18 • Salmo 26 • Filippesi 3,17-4,1 • Luca 9,28b-36
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

La liturgia della seconda domenica di Quaresima, in tutti i tre cicli domenicali, ci presenta l'episodio della trasfigurazione di Gesù sul monte. Questo evento si inserisce nel cammino verso Gerusalemme dove si compiranno per Gesù i giorni della passione e morte, culmine delle "tentazioni".
È una pausa speciale, particolare, prima dell'epilogo doloroso, un vedere il volto "altro", luminoso, di Gesù prima di vederlo sfigurato, dove ogni parvenza di divino (e di umano) è offuscata.
Vedere il volto di Dio è il desiderio profondo di ogni uomo: "Il mio cuore ripete il tuo invito: «Cercate il mio volto"». Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto" (cf. Sal 26; Salmo responsoriale). Anche Mosè ed Elia desiderarono vedere il volto di Dio, ma non lo videro, perché non si può vedere Dio e restare in vita (cf. Es 33,20): Mosè solo di spalle ed Elia nel "rumore di silenzio sottile". Il vero volto di Dio si rivela nel Figlio, anzi nella morte del Figlio, nel suo "svuotarsi", nel mistero del suo abbandono. In questo mistero di dolore e di luce trovano compimento la Legge e i Profeti, Mosè ed Elia, nel loro parlare riguardo "all'esodo che Gesù deve compiere a Gerusalemme" (cf. Lc 9,31).
Contemplare il volto "trasfigurato" di Gesù è sostegno alla fede dei discepoli prima della tragedia del Calvario, ed è la manifestazione della sua "gloria". Di quella gloria a cui tutti siamo chiamati, quando il nostro misero corpo verrà trasfigurato e conformato a quello glorioso di Gesù (cf. Fil 3,21; II lettura).
Poter cogliere questo mistero non è opera umana, ma dello Spirito. È nella nostra unione con Dio, nello Spirito, che possiamo partecipare alla gloria del Figlio. Lui stesso, cambiò aspetto mentre pregava, sul monte, luogo dell'incontro con Dio, dove anche noi siamo chiamati in compagnia dei tre discepoli, nonostante la nostra incapacità a restare svegli (come è successo anche al Getsemani!). Non riusciamo a comprendere quello che sta accadendo, quello che Gesù sta compiendo per noi.
Ma Dio è presente! La nube che scende lo attesta. "E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!»" (Lc 9,36).
È il cuore della trasfigurazione dove alla visione si collega l'ascolto, ossia l'obbedienza a Gesù. Nell'ascolto di Gesù, il perfetto ascoltatore del Padre, anche noi possiamo diventare come lui.
Ascoltare Gesù! Lui è la Parola definitiva del Padre.
Rimane Gesù "solo", scrive l'evangelista (cf Lc 9,36). Mosè ed Elia non ci sono più, anzi sono compresi, contenuti, in Gesù, Lui sintesi di ogni rivelazione di Dio, compimento di ogni manifestazione del Padre. Rimane "solo", come "solo" sarà sulla croce, dove si manifesterà veramente quale "Figlio di Dio", secondo la testimonianza del centurione, pagano, che assistette alla sua morte (cf. Mt 37,54).
La risurrezione di Gesù sarà la trasfigurazione resa permanete, eterna, nella quale tutti siamo chiamati.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Salì sul monte a pregare (Lc 9,28)
(vai al testo…)

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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo (Lc 9,35) - (17/03/2019)
(vai al testo…)
 Maestro, è bello per noi essere qui (Lc 9,33) - (21/02/2016)
(vai al testo)
 Mentre Gesù pregava il suo volto cambiò di aspetto (Lc 9,29) - (24/02/2013)
( vai al testo…)
 È il Figlio mio, ascoltatelo! (Lc 4,8) - (26/02/2010)
(vai al post "Ascoltarlo e seguirlo")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  L'esperienza fondamentale della preghiera (15/03/2019)
  Ascoltare e scoprirci "figli" (19/02/2016)
  Una fede consolidata (22/02/2013)

Commenti alla Parola:
  di Antonio Savone (VP 3.2022)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 3.2019)
  di Luigi Vari (VP 1.2016)
  di Marinella Perroni (VP 1.2013)
  di Claudio Arletti (VP 1.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Trasfigurazione del Signore, Icona greca serigrafata)

venerdì 4 marzo 2022

L'ora delle scelte


1a domenica di Quaresima (C)
Deuteronomio 26,4-10 • Salmo 90 • Romani 10,8-13 • Luca 4,1-13
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Ogni prima domenica di Quaresima la liturgia ci presenta il brano evangelico delle tentazioni cui Gesù è sottoposto. Luca sottolinea che il diavolo ha tentato Gesù in ogni modo, con "ogni tentazione", soprattutto la tentazione che riguarda l'identità di Figlio di Dio (cf. Lc 4,1-13; Vangelo).
Il diavolo sa che Gesù è Figlio di Dio, ma vuole convincersi che, essendo uomo, si debba comportare secondo le inclinazioni cui la natura umana è stata "sedotta" alle origini, nel giardino dell'Eden. Il diavolo non accetta che Dio si comporti come Colui che sa "svuotarsi" della propria divinità (cf. Fil 2,7) per riscattare l'umanità e tutto il creato dallo smacco delle origini.
Allora si è tentati dalla smania del potere, del sensazionale, della prevaricazione, del possesso… Gesù non sceglie la via facile del compromesso, ma liberamente sceglie di stare dalla parte della verità che viene dalla Parola di Dio, da Dio che è amore, misericordia, accoglienza, perdono.
Così sull'esempio di Gesù, ogni cristiano, "guidato dallo Spirito nel deserto" dove non ci sono appoggi materiali e la nostra fede è messa a nudo e alla prova, è chiamato ad una scelta decisiva. Il momento delle "tentazioni" è l'ora delle decisioni, delle scelte da fare secondo Dio o secondo gli uomini. Le prove, le scelte ci rimandano al nostro rapporto personale con Dio, a cui affidiamo totalmente la nostra vita in un abbandono pieno e fiducioso, sapendo che il Padre non ci abbandona mai.
"Mi invocherà - dice il Signore, come recitiamo al Salmo responsoriale (cf. Sal 90/91) - ed io gli darò risposta: nell'angoscia io sarò con lui, lo libererò e lo renderò glorioso".
Così i figli di Israele, maltrattati dagli Egiziani, "hanno gridato al Signore e il Signore ha visto la loro umiliazione e ha ascoltato la loro voce; li ha fatti uscire dall'Egitto con mano potente e con braccio teso e li ha condotti in una terra dove scorre latte e miele" (cf. Dt 26,4-10; I lettura).
Affidarsi a Dio è vivere secondo la sua Parola, una Parola viva "sulla bocca e nel cuore"; una Parola proclamata e creduta, pegno di salvezza per tutti quelli che invocano il suo nome (cf. Rm 10,8-13; II lettura).
Il racconto evangelico delle tentazioni non è una favola infantile o un pio racconto edificante, al contrario è il racconto di ciò che Gesù ha provato (fin sulla croce "nel momento fissato"). Per questo è qualcosa che tocca ciascuno di noi. Sull'esempio di Gesù la prova sarà il termometro di ogni fede: chi sarà provato come lui, sarà figlio come lui.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Per quaranta giorni, tentato da diavolo (Lc 4,1)
(vai al testo…)

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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Gesù era guidato dallo Spirito nel deserto (Lc 4,1) - (10/02/2019)
(vai al testo)
 Non di solo pane vivrà l'uomo (Lc 4,4) - (14/02/2016)
(vai al testo)
 Gesù era guidato dallo Spirito nel deserto (Lc 4,1) - (17/02/2013)
( vai al testo…)
 Il Signore, Dio tuo, adorerai (Lc 4,8) - (19/02/2010)
(vai al post "La preghiera, respiro dell'anima")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  «Sta scritto» (08/03/2019)
  La vera forza viene dalla fiducia in Dio (12/02/2016)
  Un profondo atto di fede (15/02/2013)

Commenti alla Parola:
  di Antonio Savone (VP 3.2022)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 3.2019)
  di Luigi Vari (VP 1.2016)
  di Marinella Perroni (VP 1.2013)
  di Claudio Arletti (VP 1.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Immagine: La tentazione del pane, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, marzo 2017)

mercoledì 2 marzo 2022

Aprire il cuore sul dolore dei nostri fratelli


Mercoledì delle Ceneri

Iniziamo questo cammino quaresimale con l'angoscia nel cuore per la situazione drammatica in Ucraina. "Laceratevi il cuore" ci ricorda il profeta Gioele. È quello che dobbiamo e possiamo fare ponendo i nostri occhi sugli occhi dei bambini ancora una volta pieni di lacrime, di terrore, di morte… Il Signore ci conceda il dono di triturarci il cuore e poterlo ricomporre con la sua sola consolazione.
Papa Francesco, nel suo messaggio per la Quaresima di quest'anno, ci invita con le parole di san Paolo a "non stancarci di fare il bene e, avendone l'occasione, di operare il bene verso tutti" (cf. Gal 6,9-10).
"Non stanchiamo - scrive il Papa - di pregare, di fare il bene nella carità operosa verso il prossimo. Dio, «che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento» (2Cor 9,10) provvede per ciascuno di noi non solo affinché possiamo avere di che nutrirci, bensì affinché possiamo essere generosi nell'operare il bene verso gli altri".
Guardando alle necessità delle migliaia di profughi in fuga dalla guerra, non possiamo voltarci dall'altra parte, né cedere alle lusinghe diaboliche del potere, militare e finanziario.
È necessario che questo tempo sia un tempo di conversione sincera e profonda, camminando fianco a fianco con chi soffre, certi che il nostro futuro prende senso nella risurrezione di Cristo, nonostante l'amara delusione di tanti sogni infranti e l'esperienza della morte che ci sfiora quotidianamente.
"Se non desistiamo, a suo tempo mieteremo!" (Gal 6,9).
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Vedi anche i post Mercoledì delle Ceneri a suo tempo pubblicati:
  Quaresima: tempo per rinnovare Fede Speranza e Carità (17/02/2021)
  Vivere nel Cuore del Padre (26/02/2020)
  Quaresima: concreti atti di carità (06/03/2019)
  Ora il momento favorevole! (14/02/2018)
  In cammino verso la Pasqua (18/02/2015)
  Abbiamo bisogno di Dio (05/03/2014)
  Passare dalla morte alla vita (13/02/2013)
  Le nostre ceneri (22/02/2012)

(Immagine: Kiev, opera del pittore Michel Pochet)

martedì 1 marzo 2022

L'umile libera scelta del perdono


Parola di Vita – Marzo 2022
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12).

La parola di vita di questo mese è tratta dalla preghiera che Gesù̀ ha insegnato ai suoi discepoli, il Padre Nostro. È una preghiera profondamente radicata nella tradizione ebraica. Anche gli ebrei chiamavano e chiamano Dio "Padre nostro".
Ad una prima lettura, le parole di questa frase ci inchiodano: possiamo chiedere a Dio di cancellare i nostri debiti, come suggerisce il testo greco, nello stesso modo con cui noi stessi siamo capaci di farlo con chi ha una mancanza verso di noi? La nostra capacità di perdono è sempre limitata, superficiale, condizionata.
Se Dio ci trattasse secondo la nostra misura, sarebbe una vera e propria condanna!

«Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori».

Sono invece parole importanti che esprimono prima di tutto la consapevolezza di essere bisognosi del perdono di Dio. Gesù̀ stesso le ha consegnate ai discepoli, e dunque a tutti i battezzati, perché con esse possano rivolgersi al Padre con semplicità di cuore.
Tutto nasce dal nostro scoprirci figli nel Figlio, fratelli e imitatori di Gesù̀ che per primo ha fatto della sua vita un cammino di adesione sempre più totale alla volontà amorosa del Padre.
È solo dopo aver accolto il dono di Dio, il suo amore senza misura, che possiamo chiedere tutto al Padre, anche di farci essere sempre più simili a Lui, persino nella capacità di perdonare i fratelli e le sorelle con cuore generoso, giorno dopo giorno.
Ogni atto di perdono è una scelta libera e consapevole, che va sempre rinnovata con umiltà. Non è mai un'abitudine, ma un percorso impegnativo, per il quale Gesù̀ ci fa pregare quotidianamente, come per il pane.

«Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori».

Quante volte le persone con cui viviamo: in famiglia, nel quartiere, sul posto di lavoro o di studio, possono averci fatto un torto e ci è difficile riprendere un rapporto positivo. Che fare? È qui che possiamo chiedere la grazia di imitare il Padre:
«[…] Alziamoci al mattino con una "amnistia" completa nel cuore, con quell'amore che tutto copre, che sa accogliere l'altro cosi com'è, con i suoi limiti, le sue difficoltà, proprio come farebbe una madre con il proprio figlio che sbaglia: lo scusa sempre, lo perdona sempre, spera sempre in lui… Avviciniamo ognuno vedendolo con occhi nuovi, come se non fosse mai incorso in quei difetti. Ricominciamo ogni volta, sapendo che Dio non solo perdona, ma dimentica: è questa la misura che richiede anche a noi» [1].
È una meta alta, verso cui possiamo camminare con l'aiuto della preghiera fiduciosa.

«Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori».

Tutta la preghiera del Padre nostro ha poi la prospettiva del "noi", della fraternità: chiedo non solo per me, ma anche per e con gli altri. La mia capacità di perdono è sostenuta dall'amore degli altri e, d'altro canto, il mio amore può in qualche modo sentire proprio l'errore del fratello: forse dipende anche da me, forse non ho fatto tutta la mia parte perché si sentisse accolto, compreso…
A Palermo, una città italiana, le comunità cristiane vivono un'intensa esperienza di dialogo, che richiede di superare alcune difficoltà. Biagio e Zina raccontano: «Un giorno un pastore amico ci ha invitati presso alcune famiglie della sua Chiesa, che non ci conoscevano. Noi avevamo portato qualcosa da condividere per il pranzo, ma quelle famiglie ci hanno fatto capire che questo incontro non era molto gradito. Con dolcezza, Zina ha fatto assaggiare loro alcune particolarità che aveva cucinato e alla fine abbiamo pranzato insieme. Dopo il pranzo, hanno cominciato a evidenziare i difetti che vedevano nella nostra Chiesa. Non volendo entrare in una guerra verbale, abbiamo detto: quale difetto o differenza fra le nostre Chiese può impedirci di volerci bene? Abituati a continue diatribe, sono rimasti meravigliati e disarmati da una risposta così ed abbiamo cominciato a parlare del Vangelo e di ciò che ci unisce, che è sicuramente molto di più di ciò che ci divide. Venuto il tempo di salutarci, non volevano più che andassimo via; a quel punto abbiamo proposto di pregare il Padre Nostro, durante il quale abbiamo avvertito forte la presenza di Dio. Ci hanno fatto promettere che saremmo ritornati perché intendevano farci conoscere tutto il resto della comunità e cosi è stato in tutti questi anni».

Letizia Magri

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[1] C. Lubich, Parola di Vita dicembre 2004, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) p. 739.

Fonte: https://www.focolare.org/

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