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venerdì 30 ottobre 2020

Un popolo in cammino verso la pienezza della vita


Solennità di Tutti i Santi
Apocalisse 7,2-4.9-14 • Salmo 23 • 1 Giovanni 3,1-3 • Matteo 5,1-12a
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Appunti per l'omelia

Celebriamo oggi una festa che riguarda soprattutto noi cristiani, discepoli di Gesù, ma non solo. Sia che siamo ancora viventi, sulla terra, sia che siamo passati attraverso l'esodo della morte e siamo dunque "in cielo", nel regno di Dio, tutti noi siamo partecipi della beatitudine, della felicità. L'essere umano cerca la felicità, la vita piena e senza fine, e Gesù vuole dare una risposta a questa sete profonda presente nel cuore di ogni persona.

La santità si manifesta esteriormente in modi diversi, viene realizzata da uomini e donne secondo le doti della natura, i tempi e le circostanze della vita. Alla base però della santità vi è un'unica cosa: l'amore, il comandamento nuovo lasciato da Gesù. Oggi, la Chiesa contempla con gli occhi di Giovanni apostolo «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua; tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello» (Ap 7,9) ed esulta con grande gioia. Contempla la Città santa, la Gerusalemme celeste dove un gran numero dei nostri fratelli vede nella gloria il volto del Padre. E la Chiesa manifesta ai suoi figli ancora pellegrinanti sulla terra il loro esempio di vita, chiedendo a questi nostri fratelli, già arrivati alla patria celeste, aiuto e sostegno per noi che siamo ancora pellegrini su questa terra.

La lettura evangelica nella festa di oggi non è un sogno sganciato dalla realtà della nostra esistenza, ma la celebrazione di ciò verso cui noi stessi ci stiamo incamminando. Perché quella di oggi è anche la festa del santo in potenza che ciascuno porta dentro di sé. «Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono? … Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione…» (Ap 7,13.14). È importante rispondere correttamente a questa domanda, riguardo ai santi appunto. Il primo errore di prospettiva è quello di immaginarli soltanto nella loro condizione finale, con un'aureola sopra la testa, collocati su un altare o nella gloria della loro canonizzazione. In realtà, i santi sono in mezzo a noi, anche se «ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1Gv 3,2). Essi appartengono in primo luogo alla terra, a quel popolo in cammino che viene dalla grande prova della vita e sale, in corteo ininterrotto, verso la città definitiva.
Spesso rischiamo anche di considerare i santi come dei superuomini, che si elevano al di sopra dei comuni mortali con i loro miracoli e con un'eccezionale forza d'animo, dimenticando forse in loro i difetti del carattere: anch'essi sono soggetti alle passioni umane, ma le mettono al servizio della santità. Perché la stessa santità non è che una passione convertita. Adeguandosi alla nostra vocazione divina, essa diventa capace di operare in noi profonde trasformazioni, frutto della grazia e della libertà.

«Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini. In esse si delinea il volto del Maestro, che siamo chiamati a far trasparire nella quotidianità della nostra vita» (GE 63).
Il termine usato nei Vangeli, makários, che viene tradotto con "beato" è un vocabolo molto forte che non indica una semplice felicità o una condizione di soddisfazione. Nel nostro linguaggio corrente, infatti, usando la parola beato pensiamo normalmente ai beati che sono in cielo e quindi fuori dalla nostra vita concreta, oppure la utilizziamo con una valenza proverbiale o ironica, come "beato lei che è riuscito ad andare in pensione…; beato te che non ti lamenti mai…". In verità, quando Gesù parla di beatitudine non parla di una felicità o una soddisfazione passeggera, ma della realizzazione piena e profonda della persona: beato è colui che è "salvato", colui che è toccato dalla salvezza che viene da Dio nella pienezza del suo Regno, che partecipa qui ora, anche se non compiutamente, dell'unione con Dio.

Beati sono quelli che sono poveri davanti a Dio, perché nella loro vita hanno imparato a contare solo su Dio; di quelli che si lasciano fare poveri del tutto, economicamente e moralmente, ma da Dio.
Beati sono gli afflitti, coloro cioè che soffrono per gli ostacoli posti dal mondo all'adempimento della volontà di Dio, coloro che soffrono per le miserande condizioni del mondo che vive senza Dio.
Beati sono quelli che hanno fame e sete della giustizia; che sono misericordiosi, ad imitazione del Padre; che sono portatori di pace, non amanti del quieto vivere ma attivi operatori di pace che agiscono come Dio stesso, il Dio della pace. L'uomo di pace per molti (ieri come oggi) è solo chi non fa la guerra. E dobbiamo constatare purtroppo che anche nella civile Europa si chiamano ipocritamente "operatori di pace" i soldati che combattono vere guerre.
Ma la Scrittura loda l'uomo pacificato dentro!

Il cristiano, vero seguace di Gesù, vede in Lui il modello da seguire. Lui è il povero di spirito, il sofferente, il mite; Lui ha avuto fame e sete, è misericordioso, puro di cuore, pacifico; Lui ha sopportato la persecuzione, la maledizione e la calunnia. Il Signore Gesù si pone come unico modello delle beatitudini e ci mostra che è possibile la loro realizzazione.
Esistono quelli che accettano simili beatitudini?

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Beati i poveri in spirito (Mt 5,3)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoghe Parola-sintesi a suo tempo pubblicate:
 Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli (Mt 5,12) (1° novembre 2019)
(vai al testo)
 Beati i poveri in spirito (Mt 5,3) (1° novembre 2018) (vai al testo)
 Gesù si mise a parlare e insegnava loro (Mt 5,2) (1° novembre 2017) (vai al testo)
 Beati i misericordiosi (Mt 5,7) (1° novembre 2016) (vai al testo)
 Beati i poveri in spirito ( Mt 5,3) (1° novembre 2015) (vai al testo…)
 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia ( Mt 5,7) (1° novembre 2014) (vai al testo…)
 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio ( Mt 5,8) (1° novembre 2013) (vai al testo…)
 Rallegratevi ed esultate, grande è la vostra ricompensa nei cieli (Mt 5,12) - (31/10/2008)
(vai al post "La promessa della gioia piena")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
 I santi della porta accanto (30/10/2019)
 Felicità, meta irraggiungibile? (31/10/2018)
  Le Beatitudini, il cuore del Vangelo: il desiderio prepotente di un mondo totalmente diverso (31/10/2017)
  Come farsi santi? (31/10/2016)
  Nelle Beatitudini la regola della santità (30/10/2015)
  La santità è innamorata dell'oggi (30/10/2014)
  Ciò che sta più a cuore a Dio: la nostra felicità! (31/10/2013)
  La gioia del Cielo (31/10/2012)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 10.2020)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 10.2019)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 10.2018)
  di Cettina Militello (VP 10.2017)
  di Cettina Militello (VP 9.2016)
  di Luigi Vari (VP 9.2015)
  di Marinella Perroni (VP 9.2013)
  di Marinella Perroni (VP 9.2012)
  di Marinella Perroni (VP 9.2011)
  di Giovanni Cavagnoli (VP 9.2014)
  di Claudio Arletti (VP 9.2010)
  di Claudio Arletti (VP 9.2009)
  di Enzo Bianchi (vol. Anno A)
  di Enzo Bianchi (vol. Anno B)
  di Enzo Bianchi (vol. Anno C)
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

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COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI
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Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 10.2020)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 10.2019)
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lunedì 26 ottobre 2020

Il coraggio del perdono


Le restrizioni causate dalla pandemia, in particolare i momenti di lockdown, hanno spesso causato o aumentato tensioni nei rapporti personali. Ci vuole il perdono. Ma il perdono richiede forza, coraggio e allenamento.



Spesso le famiglie si sfasciano perché non ci si sa perdonare. Odi antichi mantengono la divisione tra parenti, tra gruppi sociali, tra popopi. A volte c'è addirittura chi insegna a non dimenticare i torti subiti, a coltivare sentimenti di vendetta… Ed un rancore sordo avvelena l'anima e corrode il cuore.
Qualcuno pensa che il perdono sia una debolezza. No, è l'espressione di un coraggio estremo, è amore vero, il più autentico perché il più disinteressato. "Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?" - dice Gesù - questo lo sanno fare tutti: "Voi amate i vostri nemici" (cf. Mt 5,42-47).
Anche a noi viene chiesto di avere, imparando da Lui, un amore di padre, un amore di madre, un amore di misericordia nei confronti di quanti incontriamo nella nostra giornata, specialmente di chi sbaglia. A quanti poi sono chiamati a vivere una spiritualità di comunione, ossia la spiritualità cristiana, il Nuovo Testamento chiede ancora di più: "Perdonatevi scambievolmente" (cf. Col 3,13). L'amore reciproco domanda quasi un patto fra noi: essere sempre pronti a perdonarci l'un altro. Solo così potremo contribuire a creare la fraternità universale.

Chiara Lubich

Tratto da: Parola di Vita, Settembre 2002, in: Chiara Lubich, Parole di Vita, pag. 666. Città Nuova Ed., 2017.
Fonte: https://www.focolare.org


venerdì 23 ottobre 2020

Due amori, un solo amore


30a domenica del Tempo ordinario (A)
Esodo 22,20-26 • Salmo 17 • 1 Tessalonicesi 1,1-5c-10 • Matteo 22,34-40
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Appunti per l'omelia

I rabbini avevano raccolto la legge di Mosè in 613 comandamenti: 365 in forma negativa ("non devi"), tanti quanti i giorni dell'anno; 248, in forma positiva ("devi"), tanti quanti le membra del corpo umano come si pensava allora.
Con questi numeri si voleva indicare simbolicamente che l'uomo in tutta la sua persona, esistenza ed attività, deve essere proteso verso Dio, pronto ad attuare la sua volontà espressa nella Legge. Nella serie interminabile dei precetti i maestri ebrei cercavano anche di individuarne uno che li riassumesse tutti: il famoso maestro Hillel, di poco anteriore a Gesù, aveva sintetizzato il contenuto della Legge nel «Non fare al prossimo tutto ciò che è odioso a te...».
Gesù richiama due testi della legge di Mosè: Dt 6,5 e Lv 19,18. Il primo fa parte della celebre professione di fede che gli ebrei ancora oggi recitano più volte al giorno: «Ascolta, Israele… Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze». Il cuore, l'anima, la mente non designano tre facoltà differenti, ma l'uomo intero secondo dimensioni diverse: il cuore è il centro profondo della persona, dove nascono affetti e decisioni, l'anima indica l'esistenza permeata dal soffio vitale, la mente esprime l'attività intellettuale.
Tutta la realtà dell'uomo è chiamata ad incentrarsi in modo esclusivo in Dio.
A questo punto Gesù aggiunge il secondo testo, che lega strettamente l'amore di Dio all'amore del prossimo: questo comandamento è "secondo", ma "simile al primo": «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Il primo non sta in piedi senza il secondo: sei sicuro di amare Dio con tutto il cuore, se ami il prossimo come te stesso.
Il credente non è diviso fra i doveri verso Dio (culto, preghiera, osservanza del sabato...) e il comportamento nella vita familiare e sociale. Se le varie forme del rapporto col prossimo (cf. Es 22,20-26; I lettura) sono vissute nell'amore, la relazione con Dio cresce.
L'altro è semplicemente e sempre un fratello: non un muro fra me e Dio, ma una porta aperta, una via diretta a Dio. Non di rado, invece, pensiamo a Dio come antagonista dell'uomo.

Nell'unità inscindibile che Gesù opera fra i due comandamenti si coglie la novità evangelica: «Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti».
È facile il richiamo alla "regola d'oro" del discorso della montagna: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (Mt 7,12).
Gesù dà compimento alla legge di Mosè, semplificandola e unificandola nel comandamento dell'amore, ma la sua novità e originalità va oltre: sta soprattutto nel fatto che nessuno l'ha vissuto così perfettamente come Lui.
Amare, per il cristiano, significa imitare Lui più che osservare un comandamento, fino al punto di fare come il Padre, che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni…: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (cf. Mt 5,43-48). La novità sta anche nel fatto che tale amore ci è comunicato dal Padre e dal Figlio con il dono del loro Spirito.
L'Eucaristia, poi, è memoria e presenza dell'amore, che Gesù ha vissuto in modo supremo nella Pasqua: da qui attingiamo la medesima capacità d'amare. L'Eucaristia è Gesù, "pane spezzato" per l'intera umanità.
Come Lui, con la forza dello Spirito, anche noi possiamo essere "pane spezzato" per gli altri. Le nostre comunità sono chiamate a diventare luoghi in cui «la spiritualità missionaria, che è comunione intima col Cristo, si pone in stretto rapporto con la spiritualità eucaristica ... Comunità che restano aperte alla voce dello Spirito e alle necessità dell'umanità; comunità dove i credenti non esitano a farsi "pane spezzato per la vita del mondo"» (Giovanni Paolo II).

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Amerai il Signore tuo Dio... e amerai il tuo prossimo (Mt 22,37.39)
(vai al testo…)

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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Amerai il Signore tuo Dio... e amerai il tuo prossimo (Mt 22,37.39) - (29/10/2017)
(vai al testo)
 Maestro, qual è il grande comandamento? (Mt 22,36) - (26/10/2014)
(vai al testo…)
 Maestro, qual è il grande comandamento? (Mt 22,36) - (23/10/2011)
(vai al testo…)
 Qual è il più grande comandamento della legge? (Mt 22,36) - (24/10/2008)
(vai al post "Essere amore")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  «Amerai…», perché l'amore è la legge della vita (27/10/2017)
  La "via" per amare Dio (24/10/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 9.2020)
  di Cettina Militello (VP 9.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 9.2014)
  di Marinella Perroni (VP 9.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

Vedi anche il post:
  L'amore, fonte della missione (23/10/2011)

venerdì 16 ottobre 2020

Che cosa è di Dio?


29a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 45,1.4-6 • Salmo 95 • 1 Tessalonicesi 1,1-5b • Matteo 22,15-21
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Appunti per l'omelia

È lecito o no pagare il tributo a Cesare?. Gli avversari di Gesù, i farisei e gli erodiani (fautori dell'occupazione romana), uniscono le proprie forze per mettere in difficoltà Gesù.
Ogni ebreo, dai quindici ai sessantacinque anni, era tenuto a pagare all'imperatore un tributo personale che consisteva in un denaro d'argento: una speciale moneta romana che, in quel tempo, portava impressa l'immagine dell'imperatore con la scritta "Tiberio Cesare, figlio del divino Augusto, Augusto" (e nel retro: "Pontifex Maximus"). Corrispondeva al salario di una giornata lavorativa. Da gran parte del popolo - e in particolare dai farisei - era visto come un segno infamante della sottomissione a Roma. C'era anche chi - come l'ala estremista degli zeloti - considerava tale pagamento un atto d'idolatria, un rinnegamento del Dio unico per riconoscere il "divino" imperatore.
Gli avversari di Gesù quindi vogliono coglierlo in fallo nella sua collocazione politica: se rifiuta il tributo a Cesare, potrebbe essere denunciato all'autorità romana come sobillatore e ribelle; se autorizza a pagarlo, rischia di compromettere la propria integrità di maestro religioso, passando per un nemico del popolo.

Ipocriti! è la risposta di Gesù. E lo sono davvero quelle persone che fanno finta di porre il problema, ma hanno le tasche piene di monete di Cesare, e quindi riconoscono di fatto il potere e i diritti del «signore dei signori», l'imperatore romano.

Rendete a Cesare quello che è di Cesare... e a Dio quello che è di Dio!.
Gesù non dà ricette sul comportamento politico, ma lo trascende: non invita a ribellarsi ai romani né benedice l'assetto esistente, come se Cesare fosse un ministro di Dio. Afferma semplicemente che occorre rendere a Cesare ciò che egli ha il diritto di esigere: la tassa. Poi aggiunge, senza che la domanda postagli lo richieda: «Rendete a Dio quello che è di Dio».
Innanzitutto Gesù cambia la prospettiva: cambia il verbo pagare (è lecito pagare le tasse?) in restituire: quello che è di Cesare rendetelo a Cesare.
L'imperatore coniava le monete con la propria testa stampata sopra; quindi è cosa sua: voi la usate e con le tasse gliela restituite. La moneta fornisce la risposta alla domanda: appartiene a Cesare e Cesare ha il diritto di richiederla. Ora Gesù porta il discorso secondo il vero insegnamento di Dio. Il Signore ha creato l'uomo a immagine e somiglianza di sé. Il Signore è sovrano, «sopra tutti gli dei» falsi, come lo sono i Cesari di tutte le epoche: «Io sono il Signore – dice il profeta al re Ciro - e non c'è alcun altro, fuori di me non c'è dio» (cf. Is 45,5 - I lettura). Tutto appartiene al Signore, essendo «sua la terra e quanto contiene» (cf. Sal 24,1), anche gli uomini sono suoi (cf. Lv 25,42), quindi anche Cesare, il denaro, l'iscrizione…

Rendete a Dio quello che è di Dio. Cioè, di fronte a Cesare c'è un ordine più alto, quello di Dio, cui occorre rendere ciò che gli appartiene, cioè tutto. A Dio bisogna offrire tutta la propria persona, dove è impressa la sua immagine.
«Come Cesare cerca la propria immagine su una moneta, così Dio cerca la propria nella tua anima. Il salvatore dice: Rendi a Cesare quello che è di Cesare. Che cosa vuole da te Cesare? La sua immagine. Che cosa vuole da te il Signore? La sua immagine. Ma l'immagine di Cesare è scolpita su una moneta, mentre l'immagine di Dio è dentro di te. Se la perdita di una moneta ti rattrista, perché hai perso l'immagine di Cesare, a maggior ragione non dovrebbe farti piangere l'aver disprezzato l'immagine di Dio che è in te?» (S. Agostino, Sermone 24 sui vangeli).
Dio e la sua regalità non entra in concorrenza con il "piccolo potere" di Cesare, perché il "Potere di Dio" è su un altro livello. Molto più in alto.

La sentenza che chiude il dibattito sul tributo a Cesare viene spesso utilizzata per giustificare la distinzione o separazione tra "stato" e "chiesa" o tra ambito "politico" e quello "religioso". Questa è una lettura riduttiva e anacronistica perché Dio non è la chiesa e Cesare nella concezione dell'impero romano non corrisponde allo stato moderno. Il Nuovo Testamento non può essere accusato di integralismo; anzi la parola di Gesù offre un criterio di valutazione religiosa ancora attuale. In nome dell'unica Signoria di Dio egli circoscrive l'ambito del potere politico; gli toglie la maschera della sacralità idolatrica e gli restituisce la sua "laicità" profana.
Il discorso di Cesare e di Dio è proiettato alle realtà ultime, ai tempi dell'adempimento; chi sta soggetto a Cesare deve sapere che Cesare non è autonomo, né autocrate, non pone leggi da sé, né si dà il potere da sé; se lo fa è un tiranno. Deve tener conto di Dio e degli uomini; se non lo fa, ne deve rendere conto a Dio. E Gesù lo rinfaccerà a Pilato durante il processo (cf. Gv19,11).
I discepoli di Gesù e i credenti di oggi che si trovano a vivere in un contesto di stato "laico" non solo possono, ma debbono pagare il loro tributo a Cesare senza svendere la propria coscienza. E il rimando alle esigenze di Dio, incomparabili con quelle pur giuste di "Cesare", non possono diventare un alibi per il disimpegno civile. Anzi l'appello alla coscienza religiosa è una riserva critica che rende libero e perciò più radicale l'adempimento dei propri doveri civici.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Mt 22,21)
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Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Mt 22,21) - (22/10/2017)
(vai al testo)
 A Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Mt 22,21) - (19/10/2014)
(vai al testo…)
 A Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Mt 22,21) - (16/10/2011)
(vai al testo…)
 È lecito o no pagare il tributo a Cesare? (Mt 22,17) - (17/10/2008)
(vai al post "La politica, sublime espressione della fraternità cristiana")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  A Cesare le cose, a Dio la persona con tutto il cuore (20/10/2017)
  La nostra vita per l'unico Dio (17/10/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 9.2020)
  di Cettina Militello (VP 9.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 8.2014)
  di Marinella Perroni (VP 9.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

Vedi anche il post:
  Dare a Dio tutto! (16/10/2011)

giovedì 15 ottobre 2020

La forza attrattiva della sapienza






Il diaconato in Italia
Supplemento al nr. 221 in ricordo di don Giuseppe Bellia
(marzo/aprile 2020)

La forza attrattiva della sapienza





PRESENTAZIONE
Don Giuseppe: "l'attrattiva della sapienza" (Enzo Petrolino)

TESTIMONIANZE
Esistenza teologica ed eredità diaconale di don Giuseppe Bellia (Luca Bassetti)
Salmi ascensionali (Giorgio Mazzanti)
Ricordo di don Giuseppe (Enrica Dignatici)
Don Giuseppe, ci mancherai! (Vittorio Cenini)
Dal tutto come vanità al tutto come timore di Dio. La forza attrattiva della sapienza (Angelo Passaro)
Per don Giuseppe Bellia (Mariano Crociata)
L'opzione multitasking come metodo di ricerca e stile di vita (Massimo Naro)
Don Bellia e la diaconia della Parola (Giorgio Agagliati)
Un ricordo che è presenza (Luigi Vidoni)
Don Giuseppe Bellia, un ricordo (Roberto Massimo)
L'uomo don Giuseppe (Andrea Spinelli)
In punta di piedi (Francesco Giglio)
Un apostolo dei nostri tempi: Giuseppe Bellia (Gaetano Marino)
In memoria di don Giuseppe: gli apporti alla teologia del diaconato (Giovanni Chifari)


(Vai ai testi…)

venerdì 9 ottobre 2020

Il Vangelo trasforma la vita


28a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 25,6-10a • Salmo 22 • Filippesi 4,12-14.19-20 • Matteo 22,1-14
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

I profeti avevano annunciato e descritto l'intervento definitivo di Dio nella storia con la figura di un banchetto, a cui sarebbero stati invitati tutti i popoli (cf. Is 25,6-10a; I lettura).
Le immagini che lo descrivevano erano simboli di pienezza - "cibi succulenti, vini raffinati" -, di gioia - "il Signore asciugherà le lacrime su ogni volto" -, di trionfo della vita - "eliminerà la morte per sempre" -, di rapporto d'amicizia ed intimità - "Egli strapperà il velo che copriva la faccia di tutti i popoli".

Nella parabola il banchetto diventa una festa di nozze: sette volte ricorre la parola "nozze".
La storia è un unico incontro nuziale, l'incontro di Dio con l'umanità, che si realizza in Gesù. Dio ha "sposato" l'umanità: questo è l'evento nuziale per eccellenza, da cui tutti gli altri rapporti nuziali traggono il loro significato e la loro bellezza. In ogni Eucaristia tale evento è reso presente e noi vi siamo coinvolti.

Il re «mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze... Tutto è pronto, venite alle nozze!». È sconfinato il desiderio di Dio di far partecipare l'umanità alla gioia sua e del Figlio. Davanti ad un'offerta così inattesa appare incomprensibile e sconcertante la miopia degli invitati che si esprime nella noncuranza e nel rifiuto: gli "interessi" immediati hanno il sopravvento. Ma la festa si farà: la risposta negativa dell'uomo non argina il flusso dell'amore di Dio: «Andate ai crocicchi delle strade...». I nuovi invitati sono i "peccatori" e le varie categorie di esclusi che, al contrario dei principi dei sacerdoti e degli anziani del popolo, accolgono Gesù e si legano a Lui. Sono, ancora oggi, tanti che per vie diverse approdano alla comunità cristiana e si ritrovano nella grande "sala" dove si celebra la festa dell'amore.

Tuttavia, non basta aver accettato l'invito: ritrovarsi nella Chiesa grazie al Battesimo. Il Vangelo richiede una trasformazione di vita, la "veste nuziale". Nell'Apocalisse essa simboleggia la fedeltà a Dio nel compiere la sua volontà, in particolare le opere dell'amore fraterno. Corrisponde ai "frutti" nella parabola dei vignaioli omicidi (cf. domenica scorsa).
«Ti sei rivestito del Cristo», dice il Sacerdote nel Battesimo, consegnando la veste bianca, segno dello stile di vita nuovo derivante dall'appartenenza a Gesù.
Se la parabola mostra la stupidità e l'incoscienza degli uomini che rifiutano l'invito di Dio, dicendo così di no alla propria felicità, essa mette in luce l'inesauribile tenacia di Dio che porta avanti il suo progetto d'amore: la "festa" si fa ugualmente.

«Tutto è pronto: venite alle nozze!»: l'appello risuona sempre nuovo, ci invita a ravvivare il legame personale con lo sposo Gesù e a vivere l'esperienza cristiana come una "festa" determinata da questo incontro. Festa che diventa particolarmente intensa nell'Eucaristia domenicale: «Noi cristiani celebriamo come una festa solenne la vita intera» (San Giovanni Crisostomo).
Ogni cristiano è un "invitato" e al tempo stesso un "servo" che dice ad ognuno: «C'è una festa di nozze organizzata dal Padre, a cui anche tu sei invitato e atteso!». È questa la responsabilità missionaria, che anche nel mese di ottobre ci viene richiamata.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Chiamateli alle nozze! (Mt 22,9)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Venite alle nozze! (Mt 22,4) - (15/10/2017)
(vai al testo)
 Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze (Mt 22,9) - (12/10/2014)
(vai al testo…)
 Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze (Mt 22,9) - (09/10/2011)
(vai al testo…)
 Tutto posso in colui che mi dà forza (Fil 4,13) - (10/10/2008)
(vai al post "La forza della Parola")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  La sala del banchetto, piena non di santi ma di peccatori perdonati (13/10/2017)
  Alla festa di nozze: invito rifiutato, invito accettato (10/10/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 9.2020)
  di Cettina Militello (VP 9.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 8.2014)
  di Marinella Perroni (VP 8.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Gli invitati alle nozze, di Bernadette Lopez)

venerdì 2 ottobre 2020

La "rivincita" di Dio


27a domenica del Tempo ordinario (A)
Isaia 5,1-7 • Salmo 79 • Filippesi 4,6-9 • Matteo 21,33-43
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Per la terza Domenica successiva ritorna l'immagine della "vigna": è come un ultimo appello che Gesù lancia ai responsabili di Israele, cercando di provocare una conversione. Sotto il velo delle immagini, la parabola rievoca le tappe fondamentali della storia dell'amore fedele e ostinato di Dio per il suo popolo. Il padrone non ha trascurato nulla perché la sua vigna fosse feconda(cf. I lettura).
Ma in risposta si sviluppa una lunga storia di ingratitudine e di infedeltà, tale da poter stancare la pazienza del "padrone" e provocare il suo intervento radicale.
Eppure, la storia subisce una svolta del tutto inattesa: «Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio!». È l'ultimo tentativo, l'ultima speranza. L'amore insospettato di Dio osa rischiare la vita del proprio Figlio e mostra anche la fiducia che nutre nei confronti dei "vignaioli": non arriveranno a compiere ciò che egli ritiene "incredibile". Sembrerebbe l'ultima tappa: ma il dramma dimostra quanto questa storia sia carica d'amore. Dio prepara la sua "rivincita", duplice.
La prima riguarda Gesù: «La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo». Colui che i capi del popolo eliminano - giudicandolo una pietra di scarto, inadatta a costruire la comunità di Israele - è scelto come pietra d'angolo, con una funzione decisiva nella costruzione del nuovo tempio, la comunità messianica.
La seconda rivincita riguarda, appunto, la comunità dei credenti: «Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare». Questo popolo è il vero Israele, sostenuto e unificato dall'unica pietra d'angolo che è il Cristo crocifisso e risorto.
Che cosa caratterizza in modo inconfondibile i membri di questo popolo? Il "regno di Dio" viene fatto "fruttificare". I nuovi vignaioli non sono qualificati dalla semplice appartenenza battesimale, ma dai frutti: «Dai loro frutti li potrete riconoscere» (Mt 7,20; cf. pure II lettura).
Può essere facile interpretare la parabola soltanto in riferimento al passato: in realtà, la storia della salvezza è in pieno corso e noi vi siamo coinvolti. Le attenzioni, i doni, gli interventi di Dio in nostro favore chi è in grado di contarli e misurarli?
I "frutti", che egli si aspetta, non sono altro che una risposta d'amore e la vera fonte di felicità. È una tentazione subdola quella di fare assegnamento su false sicurezze: anche la fede può diventare un'ingannevole sicurezza, quando la si considera un bene di famiglia, un deposito tradizionale che basta preservare in qualche modo, mentre è una realtà dinamica che si esprime in opere, in frutti concreti. Senza le opere essa è morta.

Ogni gesto di bontà, ogni compimento del proprio dovere, ogni sforzo di coerenza nel proprio lavoro e professione, ogni servizio (da quello di genitore a quello di catechista o animatore...), ogni preghiera perché sulla terra cresca il popolo che fa "fruttificare il Regno" (a questo ci richiama il mese "missionario") … sono tutti frutti, uno più bello dell'altro, che quotidianamente danno vita e luce alla nostra giornata.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
C'era un uomo che… piantò una vigna (Mt 21,33)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Darà la vigna ad altri contadini (Mt 21,41) - (08/10/2017)
(vai al testo)
 La pietra scartata è diventata la pietra d'angolo (Mt 21,42) - (05/10/2014)
(vai al testo…)
 Io ho scelto voi perché andiate e portiate frutto (Gv 15,16 - vers. al vangelo) - (02/10/2011)
(vai al testo…)
 Il regno di Dio sarà dato ad un popolo che ne produca frutti (Mt 21,43) - (03/10/2008)
(vai al post "Degni del dono ricevuto")

Vedi anche i post Appunti per l'omelia:
  Il sogno di Dio: far fruttificare la vigna, a qualsiasi prezzo (06/10/2017)
  Il rifiuto dell'amore di Dio o una vita piena di gesti di amore (03/10/2014)

Commenti alla Parola:
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 9.2020)
  di Cettina Militello (VP 9.2017)
  di Gianni Cavagnoli (VP 8.2014)
  di Marinella Perroni (VP 8.2011)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano

(Immagine: Parabola dei vignaioli omicidi. Speculum humanae salvationis, 1482)

giovedì 1 ottobre 2020

Mettersi al posto che Gesù ha scelto per sé


Parola di Vita - Ottobre 2020
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,11).

I Vangeli ci mostrano spesso Gesù che accetta volentieri gli inviti a pranzo: sono momenti di incontro, occasioni per stringere amicizie e consolidare rapporti sociali.
In questo brano del Vangelo di Luca, Gesù osserva il comportamento degli invitati: c'è una corsa ad occupare i primi posti, quelli riservati alle personalità; è palpabile l'ansia di emergere gli uni sugli altri.
Ma Egli ha in mente un altro banchetto: quello che sarà offerto a tutti i figli nella casa del Padre, senza "diritti acquisiti" in nome di una presunta superiorità. Anzi, i primi posti saranno riservati proprio a quelli che scelgono l'ultimo posto, al servizio degli altri. Per questo proclama:

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Mettendo al centro noi stessi, con la nostra avidità, il nostro orgoglio, le nostre pretese, le nostre lamentele, cadiamo nella tentazione dell'idolatria, cioè dell'adorare falsi dei, che non meritano onore e fiducia.
Il primo invito di Gesù sembra quindi quello di scendere dal "piedistallo" del nostro io, per non mettere al centro il nostro egoismo, ma piuttosto Dio stesso. Egli sì che può occupare il posto d'onore nella nostra vita!
È importante farGli spazio, approfondire il nostro rapporto con Lui, imparare da Lui lo stile evangelico dell'abbassamento. Infatti, metterci liberamente all'ultimo posto è scegliere il posto che Dio stesso ha scelto, in Gesù. Egli, pur essendo il Signore, ha scelto di condividere la condizione umana, per annunciare a tutti l'amore del Padre.

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Da questa scuola impariamo anche a costruire la fraternità, cioè la comunità solidale di uomini e donne, adulti e ragazzi, sani e malati, capaci di costruire ponti e servire il bene comune.
Come Gesù, anche noi possiamo avvicinare il nostro prossimo senza paura, metterci al suo fianco per camminare insieme nei momenti difficili e gioiosi, valorizzare le sue qualità, condividere beni materiali e spirituali, incoraggiare, dare speranza, perdonare. Raggiungeremo il primato della carità e della libertà dei figli di Dio.
In un mondo malato di arrivismo, che corrompe la società, è davvero andare controcorrente, è una rivoluzione tutta evangelica. É questa la legge della comunità cristiana, come scrive anche l'apostolo Paolo: «Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso» [1].

«Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Come ha scritto Chiara Lubich: «Osservi? Nel mondo le cose stanno in un ordine completamente diverso. Vige la legge dell'io […] E sappiamo quali sono le dolorose conseguenze: […] ingiustizie e prevaricazioni di ogni genere. Tuttavia, il pensiero di Gesù non va direttamente a tutti questi abusi, ma piuttosto alla radice da cui essi scaturiscono: il cuore umano. […] Occorre, per Lui, trasformare proprio il cuore e di conseguenza assumere un atteggiamento nuovo necessario per stabilire rapporti autentici e giusti. Essere umili non vuol dire soltanto non essere ambiziosi, ma essere consapevoli del proprio nulla, sentirsi piccoli davanti a Dio e mettersi quindi nelle sue mani, come un bambino. […].
Come vivere bene questo abbassamento? Attuandolo, come ha fatto Gesù, per amore dei fratelli e delle sorelle. Dio ritiene fatto a sé quello che fai loro. Dunque, abbassamento: servirli. […] E l'esaltazione avverrà certamente nel mondo nuovo, nell'altra vita. Ma per chi vive nella Chiesa questo rovesciamento di situazioni è già presente. Infatti, chi comanda deve essere come uno che serve. Situazione, dunque, già mutata. E così la Chiesa, ove si vivono le parole che abbiamo approfondito, è già per l'umanità un segno del mondo che verrà»
 [2].

Letizia Magri

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[1] Cf. Fil 2,3.
[2] C. Lubich, Parola di Vita ottobre 1995, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5, Città Nuova, Roma, 2017) pp. 564-565.

Fonte: Città Nuova n. 9/Settembre 2020

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