8a domenica del T.O. (A)
Appunti per l'omelia
È importante qui cogliere il valore sublime dell'invito di Gesù. Esistevano certamente fiori più belli dei gigli del campo o animali più formosi degli uccelli del cielo. Eppure, Gesù ricorre proprio a questo esempio. Si tratta, potremmo dire, di creature minori, apparentemente tralasciate dalla cura dell'uomo che non si mette a coltivare fiori selvatici né a preparare giornalmente del cibo per gli uccelli del cielo. Ma queste creature conservavano agli occhi del Maestro un fascino incontrastato. Neppure Salomone vestiva come uno dei gigli del campo. Non tanto perché questi fiori siano particolarmente belli. Piuttosto sono soltanto se stessi, senza forzature né eccessi provenienti da ansia e insicurezza. Qui sta il loro splendore: nella bellezza della misura. Rimangono solo fiori, ma hanno l'abito che conviene, quello stesso che Dio ha pensato per loro. Esiste uno sfarzo che ben conosciamo e che urta, quasi che l'uomo non voglia più essere soltanto uomo, ma voglia aumentare la propria misura dimenticando che cos'è la vita e che cos'è il corpo, a dispetto del vestito e del nutrimento, mostrandosi agli altri per ciò che non è.
Non solo: esiste in queste forme di vita vegetale e animale una sorta di tenacia che in apparenza poco ha da spartire con la provvidenza di Dio. Gli uccelli del cielo non aspettano certo che il nutrimento arrivi magicamente. Se lo procurano, sfruttando ogni opportunità. Così è dell'erba del campo che si avvantaggia di ogni goccia d'acqua e di ogni raggio di sole. Eppure Gesù ci invita a uno sguardo diverso, uno sguardo contemplativo come il suo.
Dietro all'operosità di piccole creature, Gesù vedeva la mano del Padre che veste e nutre. Il vangelo non ci esorta certo a tralasciare lavoro e fatica, ma ci invita a vedere dietro a tutti i nostri sforzi uno sguardo d'amore che si prende cura di noi, tanto invisibile quanto concreto. È lui che permette il nostro agire e il nostro operare. La domanda vera, allora, non è mai su «che cosa» mangeremo, berremo o indosseremo, ma su "chi" veste e nutre tutto il creato.
La fede, che ci permette di "attaccarci" all'unico Signore, diviene una lente che colora tutta la realtà, permettendo di scorgere l'artefice di quel prodigio continuo e sublime che è la vita in tutto l'universo. A noi, discepoli di Gesù, spetta la ricerca del regno di Dio e della sua giustizia, a differenza dei pagani che non hanno alcun dio nel loro cuore e non possono fare altro che preoccuparsi di cibo e vestito.
Il regno di Dio è la signoria del Padre che giunge specialmente per i poveri e gli abbandonati. Proprio per coloro che vivono ai margini, come i gigli del campo, spunta una nuova alba. La giustizia del Regno consiste proprio in questo: non c'è nessuno che possa sentirsi abbandonato, anche se non ha amici importanti o possibilità di farsi sentire anche ai piani alti. È una giustizia diversa, che domanda però di uscire dagli schemi di scribi e farisei che leggono tutto come un dare e un avere, senza entrare nella logica del dono, dove, ad ogni giorno basta la propria fatica, quella di chi naviga in mare aperto, quella di chi coraggiosamente cammina sulle acque per seguire il suo Signore e sa che non affonderà.
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Vedi anche:
Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Non preoccupatevi del domani (Mt 6,34)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)
Commenti alla Parola:
• di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
• di Marinella Perroni (VP 2011)
• di Enzo Bianchi
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