Il suo funerale è stato celebrato il 13 maggio, giorno della Madonna di Fatima, nel Santuario Maria Theotokos a Loppiano (vedi il video…).
Don Piero Coda, preside dell'Istituto Universitario Sophia a Loppiano, ha scritto questo articolo (che riporto di seguito) nel periodico Città Nuova: L' "Inno alla gioia" con l'armonica a bocca.
Non è facile, oggi, fare il prete. Di prestigio non ce n'è più neanche l'ombra, anzi! Quello che prevale, spesso, è piuttosto il sospetto, quando non la commiserazione. Eppure, di preti in gamba che non salgono agli onori della cronaca ma fanno il loro dovere con rigore testimoniando la gratuità e la bellezza del Vangelo, non di rado sino in fondo senza risparmiarsi, ce ne sono. E non pochi.
Don Mario Bodega – per 10 anni parroco di San Vito a Loppiano – è uno di questi. "È" – mi viene spontaneo dire – perché lo sentiamo vicinissimo, anche se ci ha lasciato il 10 maggio scorso, a un anno preciso dalla visita di papa Francesco alla prima tra le cittadelle dei Focolari.
Don Mario aveva da poco festeggiato i 50 anni della sua ordinazione presbiterale ricevuta a Milano, lui nato a Lecco, «su quel ramo del lago di Como…», come amava ripetere citando il Manzoni. Il Parkinson che da qualche anno lo affliggeva senza minimamente piegarlo, gli stava impedendo via via di camminare e di parlare. E il papa – a cui era stato presentato con affetto da mons. Mario Meini, vescovo della diocesi di Fiesole, cui appartiene Loppiano –, abbracciandolo con trasporto, lo ha incoraggiato: «Continua a lavorare da seduto!».
Sì, don Mario ha continuato a lavorare "da seduto", ma con indomita energia spirituale. Sino al suo ultimo respiro, spendendo le risorse del suo cuore e della sua intelligenza, tutta intrisa ormai di sapienza nella quotidianità della vita e del ministero, per la sua gente, vicina o lontana che fosse. Negli ultimi tempi, non potendo più parlare, ma già prima – chissà da quando: si può pensare, suppongo, dalle sue scampagnate di giovane prete coi ragazzi dell'oratorio –, per dare espressione a quel qualcosa che, quando ha preso l'anima, si vorrebbe comunicare a tutti ma non si riesce, aveva trovato un modo tutto suo: tirava fuori dalla tasca l'armonica a bocca e suonava l'Inno alla gioia di Beethoven. Così fino all'ultimo. La sua vita di prete è stata questo: una sinfonia di gioia semplice e profonda, vera e bella, perché sempre pagata a caro prezzo con discrezione, una sinfonia ricca d'innumerevoli armoniche e condivisa con ognuno che ha incontrato e con cui ha percorso un tratto di cammino, soprattutto quando c'era di mezzo qualche lacrima, qualche prova, qualche sofferenza, qualche sospensione.
Grazie, don Mario!
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