29a domenica del T.O. (A)
Appunti per l'omelia
La domanda, estremamente insidiosa, sembra non lasciare a Gesù via d'uscita. Se risponde "Pagate", perderà la stima del popolo, attirandosi disapprovazione e antipatia, passando per un nemico del popolo. Se invece risponde "Non pagate", potrà essere denunciato all'autorità romana come sobillatore e ribelle.
Gesù smaschera la loro malizia e ipocrisia. Essi dispongono del denaro, che Egli invece non ha: usando la moneta romana e traendone vantaggio, dimostrano di accettare la sovranità dell'imperatore. La risposta di Gesù li sorprende e li spiazza: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Pagare il tributo all'imperatore non è mancare di fedeltà a Dio. Non solo è lecito, ma doveroso. Lo stato ha la sua ragion d'essere. I veri credenti sono leali verso di esso, buoni e onesti cittadini. Così facendo, onorano Dio. Nella stessa linea si muoveranno San Paolo (cf Rm 13,1ss) e San Pietro (cf 1Pt 2,13-14).
Ma nella risposta di Gesù l'accento con tutta la sua forza cade sulla seconda parte: «…e a Dio quello che è di Dio». Gesù rivendica la posizione unica ed esclusiva che Dio occupa nella vita dell'uomo.
È l'appello che già risuonava nelle parole del profeta Isaia (cf Is 45,1-6): «Io sono il Signore e non c'è alcun altro; fuori di me non c'è Dio... Non c'è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n'è altri».
A Dio non si dà una moneta, ma ciò che è suo, cioè interamente noi stessi, la nostra esistenza, la nostra persona: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore…» (Mt 22,37). Ed anche: se Cesare, il potere politico, attentasse ai diritti di Dio, pretendendo di imporre ciò che contrasta con la sua volontà (e quindi col vero bene delle persone), il credente dovrà ubbidire a Dio e non allo stato.
È importante cogliere nella risposta di Gesù la sua logica di fondo: come la moneta porta l'immagine dell'imperatore e quindi a lui va restituita, così ogni uomo reca impressi il sigillo e l'immagine di Dio e quindi è da restituire a Lui in una appartenenza totale e senza ombra. L'immagine di Dio che portiamo in quanto creati da Lui è divenuta chiara e inconfondibile in virtù del battesimo, che ci ha resi conformi a Cristo, ci ha legati a Lui e al Padre in modo vitale e definitivo. Esige perciò di tornare a Lui integra e non offuscata.
Se tutto ciò che mi appartiene e che sono devo renderlo a Dio, perché è suo, allora il mio impegno sta nella verifica se compio un tale dovere. Nel tempo, per esempio, che Dio mi concede, vivendolo come dono ricevuto e ricambiato. Nel mio impegno in favore della porzione di umanità in cui vivo. Dio infatti comanda di amare tutti e di amare sempre, in ogni situazione. Allora, ogni forma di impegno sociale e politico, vissuta come servizio fraterno al prossimo, diventa il modo concreto di vivere il primato di Dio nella nostra esistenza. Non è l'attività sociale, economica e politica in quanto tale che mi salva, ma il credente non si salva, se non assume e non svolge con carità e professionalità il ruolo che gli compete nella vita pubblica, perché servire i fratelli è partecipare alla stessa diaconia di Cristo.
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Vedi anche:
Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
A Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (Mt 22,21)
(vai al testo) - (pdf, formato A5/A4c)
Commenti alla Parola:
• di Gianni Cavagnoli (VP 2014)
• di Marinella Perroni (VP 2011)
• di Enzo Bianchi
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