Il Concilio Vaticano II, al n° 40 della Lumen Gentium, parla della universale chiamata alla santità: "Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt 5,48) […] È dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità e che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano".

"La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona".
Ognuno infatti non può cercare la santità in uno stato di vita che non gli è proprio, "errore che si verifica tuttavia molto spesso".
"La devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa. […] Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta".
Così, la chiamata alla santità, che coinvolge totalmente la vita e la missione dei diaconi, si manifesta in essi, in quanto animatori della diaconia nella comunità cristiana, anche nel "riconoscere e promuovere la missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo. Il diacono, in quanto presente e inserito più del sacerdote negli ambiti e nelle strutture secolari, si deve sentire ingaggiato a favorire l'avvicinamento tra il ministro ordinato e le attività dei laici, nel comune servizio al Regno di Dio". Per questo, i diaconi devono saper testimoniare la loro santità, "conducendo uno stile di vita sobrio e semplice, che si apra alla «cultura del dare» e favorisca una generosa condivisione" (Cfr. Ratio 9).
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