
Francesco nella Evangelii gaudium scrive: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiastica diventino un canale adeguato per l'evangelizzazione del mondo attuale, più che per l'autopreservazione (n. 27).
La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del "si è fatto sempre così". Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità (n. 33)».
Il vangelo di domenica scorsa (cf Mt 11,2-11), III di Avvento, con i dubbi di Giovanni Battista riguardo a "colui che deve venire" ed il nostro modo di raffigurarcelo, mi hanno fatto riflettere se ciò che annunciamo è veramente secondo lo Spirito o secondo i miei schemi.
Scrive Claudio Arletti a commento di questo passo evangelico: «Ogni qualvolta ripetiamo di attendere Cristo, è importante verificare che la sua venuta si incroci con le nostre più intime e personali aspettative. Coincidono, o forse i beni promessi sono lontani dai nostri desideri? Giovanni correva il rischio dei Dodici, delle folle e di molti personaggi del vangelo: attendere un Messia ben definito, dai lineamenti chiari e netti che avrebbero semplicemente dovuto eseguire un programma già stampato nella mente del popolo e delle sue autorità. Il Cristo non aveva alternative: percorrere una strada differente significava il non riconoscimento da parte della gente. […]
L'attesa, se è davvero tale, deve permettere a Dio di essere Dio, in piena libertà, senza che egli debba adeguarsi ai nostri parametri».
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