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mercoledì 2 dicembre 2020

La sposa del diacono


Settimana News ha pubblicato un intervento del diacono Enzo Petrolino, presidente della Comunità del Diaconato in Italia, sulla moglie del diacono.
Sappiamo, infatti, - scrive Petrolino - che «il conferimento del diaconato agli sposati ha posto e pone tuttora alcuni problemi - se non altro ai fini di un suo riconoscimento e di una piena consapevolezza delle sue potenzialità - per il fatto stesso che coesistono nel diacono coniugato due sacramenti: il matrimonio per lo stato di vita e, appunto, il diaconato per il ministero conferito con l'ordinazione».
In questo contesto è lecito porsi la domanda, essendo l'ordinazione conferita al solo marito, su come si ponga la sposa del diacono in questa nuova situazione: «uno degli sposi può essere segnato da un sacramento senza che l'altro lo sia? Chi è che è segnato dall'ordinazione del marito? La sua persona? La mutua relazione tra gli sposi? Di fatto, ci si domanda, chi è realmente ordinato? Il marito o la coppia?». La risposta è chiara: «È uno degli sposi che viene ordinato, e non la coppia: eppure l'ordinazione riguarda la coppia nella sua globalità. Uomo e donna sono collocati diversamente in rapporto al diaconato, poiché l'ordinazione dello sposo non cambia lo statuto personale della sposa nell'ambito del popolo di Dio; tuttavia, nell'unità coniugale, la sposa porta con il suo sposo le conseguenze, sulla vita familiare, del cambiamento dello status ecclesiale dello sposo».
Tuttavia - scrive Petrolino - «rimane, per la sposa, il problema di "come" collocarsi rispetto all'ordinazione del proprio marito. In primo luogo il cammino verso il diaconato, come quello verso ogni sacramento, suppone una conversione. Ora, la conversione dona una nuova immagine di sé e di Dio, e le relazioni nella coppia ne vengono modificate, ponendo la necessità di costruire un nuovo equilibrio relazionale. Una tale evoluzione comporta normalmente delle crisi: un combattimento spirituale, con le sue tensioni. Non sempre il cammino spirituale degli sposi è concomitante: devono comprendersi, sostenersi l'un l'altro e, nella grazia di Dio, essere più uniti.
Secondariamente, va considerata la differenza di statuto tra sposi. Quando il vescovo domanda alla sposa se accetta l'ordinazione del marito e le sue conseguenze nella vita familiare, ella intende spesso il sì che dice allora come un nuovo sì coniugale al suo sposo. Ma non è esattamente questo il senso del consenso che pronuncia: si tratta di una risposta non al marito, ma al vescovo, con la quale ella gli dice pubblicamente che accetta che il Cristo si impadronisca dello sposo per farne un diacono. Vi è dunque, da parte sua, un certo dono del marito a Cristo, per il servizio della Chiesa. Allora si comprende, come fattore primario di discernimento, che senza il consenso della moglie non si è ordinati diaconi. L'esperienza permette di affermare che il Cristo dona alla vita coniugale e familiare dei diaconi una comunione coniugale più grande, e una vita nella grazia più profonda; ma questa comincia irrinunciabilmente con un dono di sé».
Enzo Petrolino, nel suo articolo, suggerisce alla fine: «per dimensionarsi in maniera giusta rispetto all'ordinazione del marito, la sposa dovrebbe affrontare e dare risposta a tre domande fondamentali:
  1. "Dio chiama davvero mio marito a essere ordinato diacono?". In effetti, la sua situazione di sposa le conferisce un ruolo specifico nel discernimento. Ella partecipa, in coscienza, alla ricerca della volontà di Dio sul marito.
  2. "Sono pronta ad accettare di cambiare vita, se il mio sposo è chiamato da Dio al diaconato?". Questa seconda domanda è indispensabile per assicurarsi di rispondere alla prima nella fede, e non in ragione di qualche paura irrazionale o di qualche egoismo, qualora si pensi che il futuro diacono non sia chiamato da Dio; e, parimenti, per essere certe di non lasciarsi trascinare da qualche entusiasmo, senza avere misurato le conseguenze e le esigenze dell'ordinazione sulla vita quotidiana, qualora si fosse convinte, invece, che il marito sia stato chiamato. In altri termini, la sposa deve chiedersi se è disposta ad accettare l'evoluzione spirituale personale che scaturisce dalla vocazione e dall'ordinazione del marito e, ancora, se è pronta a procurarsi i mezzi che favoriranno il realizzarsi di tale evoluzione in accompagnamento al ministero del suo sposo.
  3. "Come mi porrò, in concreto, di fronte all'ordinazione e al ministero di mio marito?". Le risposte a quest'ultima domanda sono, legittimamente, molto differenti. Non c'è un modello unico che valga per tutte le spose coinvolte.
Ma porsi queste domande, in serena semplicità e nella pace del cuore, rimane una tappa indispensabile nel percorso della coppia verso una relazione piena, per la maggior felicità propria e della Chiesa nella sua missione».
E l'articolo si conclude con le parole che Giovanni Paolo II ebbe a dire ai diaconi degli Stati Uniti (Detroit, 19/9/1987): «Il contributo che un diacono sposato offre alla trasformazione della vita familiare. Lui e sua moglie, essendo entrati in una comunione di vita, sono chiamati ad aiutarsi e a servirsi l'un l'altro. La loro collaborazione e unità è così intima nel sacramento del matrimonio, che la Chiesa chiede il debito consenso della moglie prima che il marito possa essere ordinato diacono permanente… L'arricchimento e l'approfondimento dell'amore sacrificale e reciproco tra marito e moglie costituisce forse il più significativo coinvolgimento della moglie del diacono nel ministero pubblico del proprio marito nella Chiesa. Soprattutto oggi questo non è un servizio da poco».

(Vai al testo completo dell'articolo)

(Immagine: coppia felice di Leonid Afremov)


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