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venerdì 16 maggio 2025

Nella "notte" la "gloria"


5a domenica di Pasqua (C)
Atti 14,21b-27 • Salmo 144 • Apocalisse 21,1-5a • Giovanni 13,31-33a.34-35
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

Il brano evangelico di questa domenica ci riporta nel contesto dell'ultima cena. Dopo la lavanda dei piedi, con l'invito di Gesù a fare altrettanto, a lavarci cioè i piedi l'un l'altro, nella beatitudine promessa a coloro che si comportano così, nel momento in cui Giuda esce da cenacolo, Gesù dice: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato" (cf. 13,31).
Sì, nell'ora delle tenebre, quando Satana è entrato in Giuda e fuori è notte e Giuda, con la notte nel cuore, si allontana da Gesù (la tenebra che sfugge alla luce), in quest' "ora" Gesù parla della sua gloria.
In questo tempo di Pasqua in cui la Vita esplode e la morte è vinta, non è un ritornare indietro, prima della passione, perché non c'è resurrezione senza passione e morte, dove l'evento morte e vita in Gesù sono un'unica realtà umano-divina.
Infatti, l'annientamento del Figlio, nel suo "svuotarsi", è il culmine dell'amore che dona tutto sé stesso, è il momento in cui il Padre "esalta" il Figlio (cf. Fil 2,7-9).
Questa è l' "ora". È nel contesto di una cena, di una convivialità, nel momento dell'addio. In questo commiato di Gesù dai suoi, Gesù dona il suo essere vero, nella consegna di quel comandamento che lui definisce "nuovo": "Amatevi gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (cf. Gv 13,34).
L'amore scambievole è il distintivo dei discepoli di Gesù. È la legge nuova dei figli della risurrezione. Non un amore qualsiasi. È l'amore che ha la sua radice nella Trinità. È lo stesso amore di Gesù. Non è tanto un modello da imitare, è dentro di noi, fa parte del nostro DNA, e zampilla come una sorgente che dona vita.
I seguaci di Gesù non possono scambiarsi se non l'amore di Gesù stesso, quello che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito.
È un amore "genetico", non imitativo. Non è un amore moralistico. Noi siamo anfore vuote che si lasciano riempire dall'esuberanza dell'amore divino, nell'esercizio continuo di "svuotarci" davanti ad ogni prossimo da amare, nell'ascolto e nell'accoglienza reciproca.
Il nostro amore ha la sua radice in quel "come" Gesù ci ha amati. È un amore che cresce e si irrobustisce in mezzo ai nostri limiti, ai nostri fallimenti, ai nostri alti e bassi. A noi lasciarsi guidare dallo Spirito, aperti ad un amore incondizionato, cha sa di perdono, di riconciliazione, di fiducia reciproca, di abbandono nel cuore della Trinità.

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Vedi anche: Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri (Gv 13,34) - (15/05/2022)
(vai al testo)
 Amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34) - (19/05/2019)
(vai al testo)
 Amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34) - (24/04/2016)
(vai al testo)
 Amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34) - (28/04/2013)
( vai al testo…)
 Amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34) - (30/04/2010)
(vai al post "Il distintivo del cristiano")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Testimoni della presenza del Risorto (13/05/2022)
  Da questo tutti sapranno (17/05/2019)
  Amarci con lo "stile" di Gesù (22/04/2016)
  La fisionomia inconfondibile della comunità cristiana (27/04/2013)

Commenti alla Parola:
  di Goffredo Boselli (VP 5.2025)
  di Antonio Savone (VP 5.2022)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 5.2019)
  di Luigi Vari (VP 3.2016)
  di Marinella Perroni (VP 3.2013)
  di Claudio Arletti (VP 4.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Immagine: "Amatevi gli uni gli altri", G. Trevisan, La Domenica 18 maggio 2025)

mercoledì 14 maggio 2025

Giubileo dei Diaconi – Incontro internazionale



Nel contesto del Giubileo dei Diaconi (21-23 febbraio 2025) si è tenuto, sabato 22 febbraio, all'Auditorium Conciliazione l'incontro internazionale , dal titolo: Diaconi in una Chiesa sinodale e missionaria, indetto dal Dicastero per il Clero, con interventi del Prefetto del Dicastero per il Clero card. Lazzaro You Heung Sik, del Segretario del predetto Dicastero mons. Andrés Gabriel Ferrada Moreira, della prof.ssa Prof.ssa Serena Noceti, di don Dario Vitali, nonché di una carrellata di una decina di interventi con testimonianze dai vari continenti.

Qui di seguito l'elenco degli interventi:
  • Saluto iniziale del Prefetto del Dicastero per il Clero card. Lazzaro You Heung Sik
  • Intervento iniziale del segretario del Dicastero per il Clero mons. Andrés Gabriel Ferrada Moreira
  • Il ministero diaconale in una Chiesa sinodale e missionaria: per essere testimoni di speranza
    Prof.ssa Serena Noceti, dottore in teologia, docente di Teologia sistematica presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose della Toscana "S. Caterina" (Firenze)
  • La Ratio Formationis ed il Direttorio per il Ministero e la Vita dei Diaconi Permanenti: un percorso da aggiornare
    Don Dario Vitali, presbitero della Diocesi di Velletri-Segni, docente di Ecclesiologia alla Pontificia Università Gregoriana, consulente del Dicastero per il Clero
  • Conclusione del Card. Prefetto del Dicastero per il Clero
  • Intervento Finale del Segretario del Dicastero per il Clero


Inoltre:
  • Santa Messa e Ordinazioni diaconale: Omelia del Santo Padre Francesco, letta da S.E. mons. Rino Fisichella
  • Testimoni di speranza e gratuità nella Chiesa di oggi
  • Riflessioni sull'omelia preparata dal Papa per il Giubileo dei Diaconi
    Card. Lazzaro You Heung Sik, Prefetto del Dicastero per il Clero
    L'Osservatore Romano, giovedì 27 febbraio 2025

Per i vari interventi clicca qui, con la possibilità di scaricare anche un opuscoletto con i testi.

venerdì 9 maggio 2025

In un rapporto di intimità


4a domenica di Pasqua (C)
Atti 13,14.43-52 • Salmo 99 • Apocalisse 7,9.14b-17 • Giovanni 10,27-30
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

La quarta domenica di Pasqua è detta del "Buon Pastore", anzi del "Bel Pastore", nella quale si celebra anche la giornata di preghiera per le vocazioni.
Siamo chiamati a far parte del gregge del Pastore "bello". Il nostro essere parte della sua vita è radicata nel fatto che le sue pecore "ascoltano la sua voce" e Lui le "conosce" ed esse "lo seguono" (cf. Gv 10,27).
È un rapporto di intimità. Ascoltare è accogliere l'invito alla sequela. Tutti, ognuno nella propria condizione particolare, siamo chiamati per nome, in una relazione intima, profonda. Il Signore Gesù ci dona la sua vita, che è "eterna", non perché verrà e non finirà, ma perché è divina, piena, traboccante della dinamica trinitaria che già ora ci avvolge e ci rigenera.
Siamo guardati dal Maestro-Pastore che fissa il suo sguardo d'amore nel nostro intimo e ci invita a lasciare tutto e a seguirlo. A noi, perché attaccati ai beni materiali ripetere l'atteggiamento del giovane ricco che si allontana triste oppure, con lo slancio di chi ha colto l'inestimabile dono del Signore, lasciare tutto, come i primi pescatori di Galilea, e seguirlo.
Quei pescatori lo seguono non perché sono perfetti o più bravi di altri, ma perché lo sguardo di Gesù ha toccato il loro cuore. Si instaura un rapporto di amore ed ogni remora si dissolve.
Gesù ripete anche oggi: "Io do loro [alle mie pecore] la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano" (Gv 10,28).
Il Signore dà la vita perché dona tutto sé stesso e con Lui tutta la Trinità. Nel cuore della Trinità è la nostra dimora, dove anche il Padre non permetterà che qualcuno ci strappi dalla sua mano, perché il Padre e il Figlio sono una cosa sola (cf. Gv 10,29-30).
Nel cuore della Trinità facciamo l'esperienza, già fin d'ora, di essere fratelli e figli di quel Dio che è Amore, nella gioia dello Spirito del Padre e del Figlio.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco (Gv 10,27)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30) - (08/05/2022)
(vai al testo)
 Io do la vita eterna (Gv 10,28) - (12/05/2019)
(vai al testo)
 Le mie pecore ascoltano la mia voce (Gv 10,27) - (17/04/2016)
(vai al testo)
 Io conosco le mie pecore ed esse mi seguono (Gv 10,27) - (21/04/2013)
( vai al testo…)
 Le mie pecore ascoltano la mia voce (Gv 10,27) - (23/04/2010)
(vai al post "Ascoltare quella voce")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  L'identikit del discepolo (06/05/2022)
  Nella "sua"mano (10/05/2019)
  Il mio nome è scritto sul palmo della sua mano (15/04/2016)
  Nell'unità del Padre e del Figlio (19/04/2013)

Commenti alla Parola:
  di Goffredo Boselli (VP 5.2025)
  di Antonio Savone (VP 5.2022)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 5.2019)
  di Luigi Vari (VP 3.2016)
  di Marinella Perroni (VP 3.2013)
  di Claudio Arletti (VP 3.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Illustrazione: Il buon pastore, Icona contemporanea, Scandale, Crotone, Eremo della Santa Croce)

giovedì 8 maggio 2025

Le prime parole di papa Leone XIV


Questa sera abbiamo assistito all'evento commovente e coinvolgente dell'elezione nel nuovo Papa. Nel suo discorso prima della benedizione mi hanno colpito alcune parole chiave, importanti, programmatiche, che hanno risuonato in me come un richiamo alla mia dimensione diaconale.

La pace, prima di tutto, parola ripetuta dieci volte, una pace dono del Cristo Risorto, una pace "disarmata" e "disarmante", "umile e perseverante": il diacono invita tutti a scambiarsi il dono della pace e, alla fine della celebrazione, ad andare "in pace", quella pace da portare e far vivere nella nostra vita quotidiana.
Costruire ponti. "Aiutateci anche voi, poi gli uni gli altri a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace".
Spesso si è definito il diacono quale ponte che unisce non che innalza muri, per essere animatore e fattore di comunione e unità, uomo del dialogo.
Chiesa missionaria."Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta a ricevere come questa piazza con le braccia aperte. Tutti, tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, la nostra presenza, il dialogo e l’amore".

È tutto un programma. Seguire questo papa con la gioia di testimoniare la ricchezza e la fantasia con cui lo Spirito Santo ci sospinge.

mercoledì 7 maggio 2025

La diaconia di Pietro


Riporto l'articolo de L'Osservatore Romano del 6 maggio 2025 dal titolo Extra omnes di Paolo Ruffini. Il servizio di Pietro: il servo che è a capo di un popolo, la Chiesa. È servo sulle orme del Figlio dell'uomo "che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (cf. Mc 10,45).

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EXTRA OMNES

06 maggio 2025
di Paolo Ruffini

Extra omnes. Tutti fuori. Succede, in questo tempo sospeso, che tutti nel mondo si interroghino su chi sarà il 267° vescovo di Roma. Tutti coinvolti, anche se fisicamente esclusi dal luogo dove i successori degli apostoli divenuti cardinali, raccolti e custoditi nel segreto di una Cappella, sceglieranno il servo dei servi di Dio chiamato a guidare la Chiesa.
Servo. Servo di un unico Popolo di cui Pietro faceva e continuerà a far parte, anche dopo essere stato chiamato a guidarlo.
Servo. E qui è il mistero. Come può un servo essere a capo di un popolo? Di una Chiesa?
Una domanda alla quale Gesù rispose con parole che ancora oggi fatichiamo a comprendere: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,42-45).
Servire dunque. A questo sono chiamati i successori di Pietro per guidare la Chiesa. E questo paradosso disorienta. Confonde sia i media che i tanti centri di potere, piccoli e grandi, del mondo nel mentre che si arrovellano sull'identità e sul nome che prenderà chi potrà essere il prescelto, e provano magari anche ad influenzare la decisione, disegnando scenari e chiavi di lettura che appaiono scritti sulla sabbia.

Extra omnes. Questa regola scompagina questo tempo sospeso fra l'ora e il non ancora in cui anche i cardinali (il popolo di Dio che attende il suo pastore lo sa, lo crede, lo chiede) sono chiamati a entrare nel mistero; e lasciare non solo tutti, ma tutto fuori dalla Sistina: dunque se stessi, i loro pensieri, i loro ragionamenti; e a svuotarsi totalmente per lasciare spazio solo allo Spirito, a una dinamica che li trascende, e al mistero di Pietro.
Ma Pietro è questo. Un mistero che ci affida una certezza.
Pietro è il pescatore al quale Gesù promise che il male non avrebbe vinto: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18).
È l'apostolo per il quale - nell'affidargli la sua Chiesa - il Figlio di Dio pregò rivolgendo una raccomandazione speciale al Padre. Perché lo sorreggesse nel portare sulle spalle un peso altrimenti troppo grande.

Pietro è un uomo sorretto da questa preghiera che si è estesa nel tempo e nella storia sui suoi successori per arrivare sino a noi, oggi. Una preghiera concreta, speciale appunto: perché la fede non venisse mai meno di fronte alle prove che avrebbe dovuto affrontare, così diverse e così simili a quelle del nostro tempo, secolarizzato, diviso, polarizzato, confuso, incattivito; pieno di desiderio di comando e povero di amore, incapace di capire il valore di un servizio e del bene comune, gonfio di certezze fragili e di false verità, imbevuto più di rancori che di misericordia, così tanto spesso desideroso più di vendette che di perdono: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32).
Pietro è un mistero di misericordia e di amore; di comunione e di ascolto.
Un pescatore che sbaglia i suoi calcoli; che turbato se ne sta tutta la notte in mare senza prendere un solo pesce; che poi getta le reti dall'altra parte, solo sulla parola di uno sconosciuto. E che alla fine comprende che chi parla è il suo Maestro.
Pietro è un peccatore perdonato: è il prescelto che prima di gioire ha pianto amaramente, dopo aver tradito. Come Giuda. Ma lui piange. Ha pianto.
Nelle sue lacrime c'è tutto il suo mistero. E c'è il mistero della Chiesa. Quelle lacrime sono forse le chiavi del Regno. Sono le chiavi di Pietro e del suo mistero: una fragilità potente proprio perché non brilla di luce propria. Una roccia anche se non lo era. Che proprio per questo ci conferma tutti nella fede.

domenica 4 maggio 2025

"Come ho fatto io…"


Da un letto d'ospedale apprendo della morte di papa Francesco. Lo avevo visto in TV impartire l'ultima benedizione il giorno di Pasqua e scoprirlo poi nel suo ultimo passaggio in mezzo alla gente.
Francesco è qui ora, vivo! Presente più che mai!
Sui diaconi ha detto qualcosa, non ha fatto trattati, ha detto che devono essere i "custodi del servizio", che non devono stare chiusi nelle sacrestie, che non devono scimmiottare i preti, ma che devono "uscire", stare in mezzo alla gente, soprattutto con i poveri, gli emarginati, gli ammalati, gli esclusi.
Ho visto in lui la realizzazione concreta di come deve vivere un diacono.
Non ha parlato. Ha fatto!
Se da papa Francesco voglio capire chi è il diacono, devo guardare alla sua vita. È come se mi dicesse: "Come ho fatto io, così fate anche voi…", sull'esempio di Gesù.

venerdì 2 maggio 2025

La testimonianza dell'amore


3a domenica di Pasqua (C)
Atti 5,27b-32.40b-41 • Salmo 29 • Apocalisse 5,11-14 • Giovanni 21,1-19
(Visualizza i brani delle Letture)

Appunti per l'omelia

È la terza manifestazione del Risorto che l'evangelista Giovanni descrive dopo quella della sera di Pasqua e della settimana seguente. I discepoli sono tornati in Galilea, e riprendono la loro vita. Hanno visto il Maestro risuscitato, ma sperimentano nel contempo la sua mancanza. E Pietro prende l'iniziativa: vanno a pescare…
Esperienza di fallimento con il ritorno a riva con le reti vuote. Eppure in questa situazione negativa è sempre la presenza del Risorto che dona luce e certezza.
Dopo ogni fallimento la tentazione di riprendere, senza spinta particolare, la vita ordinaria si fa presente anche in noi. Ma riconoscere che Gesù è sempre con noi, non è per le nostre buone azioni o per i nostri meriti, ma è per grazia. Lui ci precede e ci attende sulla riva del lago dopo una notte di insuccesso.
È Lui che prende l'iniziativa e ci indica le cose da fare, di gettare le nostre reti vuote dalla parte destra, e per di più in pieno giorno. La sorpresa non si lascia attendere: "È il Signore!".
Sì, è Lui che ci attende ed ha preparato il fuoco per il pasto con il pesce appena pescato in sovrabbondanza.
È sempre il Signore Gesù che si manifesta a noi. Se ne abbiamo fatto l'esperienza, siamo anche certi della sua presenza costante. La nostra vita riprende sapore, la vita di tutti i giorni. Ma anche ci viene chiarita la nostra missione, quella di credere all'amore.
A Pietro Gesù, in risposta ai tre rinnegamenti, richiede tre richieste d'amore.
Ne siamo capaci? " Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene". Questo per Pietro, questo per ciascuno di noi.
È il frutto della Pasqua.
Non c'è tradimento che non possa essere assorbito dal perdono e possa ricevere la forza per una testimonianza credibile che il Signore risorto è vivo in mezzo a noi.

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Vedi anche:

Parola-sintesi proposta (breve commento e una testimonianza):
Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete (Gv 21,6)
(vai al testo…)

PDF formato A4, stampa f/r per A5:


Vedi anche analoga Parola-sintesi a suo tempo pubblicata
 Simone, figlio di Giovanni mi ami più di costoro? (Gv 21,15) - (01/05/2022)
(vai al testo)
 È il Signore! (Gv 21,7) - (05/05/2019)
(vai al testo)
 È il Signore! (Gv 21,7) - (10/04/2016)
(vai al testo)
 Simone, mi ami? (Gv 21,16) - (14/04/2013)
( vai al testo…)
 Signore, tu sai che ti voglio bene (Gv 21,17) - (16/04/2010)
(vai al post "Il primato dell'amore")

Vedi anche il post Appunti per l'omelia:
  Il risorto nella nostra vita (29/04/2022)
  Una parola che "ricostruisce" (03/05/2019)
  Mi vuoi bene? (08/04/2016)
  L'amore al di sopra di tutto! (12/04/2013)

Commenti alla Parola:
  di Goffredo Boselli (VP 5.2025)
  di Antonio Savone (VP 5.2022)
  di L'Amicizia presbiterale "Santi Basilio e Gregorio" (VP 5.2019)
  di Luigi Vari (VP 3.2016)
  di Marinella Perroni (VP 3.2013)
  di Claudio Arletti (VP 3.2010)
  di Enzo Bianchi
  di Lectio divina: Abbazia Santa Maria di Pulsano
  di Letture Patristiche della Domenica

(Immagine: "È il Signore!", G. Trevisan, La Domenica 4 maggio 2025)

giovedì 1 maggio 2025

Ti voglio bene perché...


Parola di Vita – Maggio 2025
(Clicca qui per il Video del Commento   -   oppure...)

«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17)

L'ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni ci porta in Galilea, sul lago di Tiberiade. Pietro, Giovanni ed altri discepoli, dopo la morte di Gesù, sono tornati al loro lavoro di pescatori, ma purtroppo la notte è stata infruttuosa.
Il Risorto si manifesta lì, per la terza volta, li esorta a gettare nuovamente le reti e questa volta raccolgono tanti pesci. Poi li invita a condividere il cibo sulla riva. Pietro e gli altri lo hanno riconosciuto, ma non osano rivolgergli la parola.
Gesù prende l'iniziativa e si rivolge a Pietro, con una domanda molto impegnativa: "Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?". Il momento è solenne: per tre volte Gesù rinnova la chiamata di Pietro [1] a prendersi cura delle sue pecore, di cui Egli stesso è il Pastore [2].

«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».

Ma Pietro sa di aver tradito e questa tragica esperienza non gli permette di rispondere positivamente alla domanda di Gesù. Risponde con umiltà: "Tu sai che ti voglio bene".
Durante tutto il dialogo, Gesù non rinfaccia a Pietro il tradimento, non si dilunga a sottolineare l'errore. Lo raggiunge sul piano delle sue possibilità, lo porta dentro la sua dolorosa ferita, per sanarla con la sua amicizia. L'unica cosa che chiede è di ricostruire il rapporto nella fiducia reciproca.
E da Pietro sgorga una risposta che è un atto di consapevolezza della propria debolezza e, allo stesso tempo, di fiducia illimitata nell'amore accogliente del suo Maestro e Signore:

«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».

Anche a ciascuno di noi Gesù fa la stessa domanda: mi ami? Vuoi essere mio amico? Egli sa tutto: conosce i doni che abbiamo ricevuto da Lui stesso, come pure le nostre debolezze e ferite, a volte sanguinanti. Eppure rinnova la sua fiducia, non nelle nostre forze, ma nell'amicizia con Lui. In questa amicizia, Pietro troverà anche il coraggio di testimoniare l'amore per Gesù fino al dono della vita.
«Momenti di debolezza, di frustrazione, di scoraggiamento li passiamo tutti: […] avversità, situazioni dolorose, malattie, morti, prove interiori, incomprensioni, tentazioni, fallimenti […]. Proprio chi si sente incapace di superare certe prove che si abbattono sul fisico e sull'anima, e perciò non può far calcolo sulle sue forze, è messo in condizione di fidarsi di Dio. E Lui interviene, attirato da questa confidenza. Dove Lui agisce, opera cose grandi, che appaiono più grandi, proprio perché scaturiscono dalla nostra piccolezza» [3].
Nella quotidianità possiamo presentarci a Dio così come siamo e chiedere la sua amicizia che risana. In questo abbandono fiducioso alla sua misericordia potremo tornare nell'intimità con il Signore e riprendere il cammino con Lui.

«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».

Questa Parola di vita può diventare anche preghiera personale, la nostra risposta per affidarci a Dio con le nostre poche forze e ringraziarlo per i segni del suo amore:
«[…] Ti voglio bene perché sei entrato nella mia vita più dell'aria nei miei polmoni, più del sangue nelle mie vene. Sei entrato dove nessuno poteva entrare, quando nessuno poteva aiutarmi, ogniqualvolta nessuno poteva consolarmi. […] Dammi d'esserti grata – almeno un po' – nel tempo che mi rimane, di questo amore che hai versato su di me, e m'ha costretta a dirti: Ti voglio bene.» [4].
Anche nei nostri rapporti in famiglia, nella società e nella chiesa, possiamo imparare lo stile di Gesù: amare tutti, amare per primi, "lavare i piedi" [5] ai nostri fratelli, soprattutto i più piccoli e fragili. Impareremo ad accogliere ognuno con umiltà e pazienza, senza giudicare, aperti a chiedere e accogliere il perdono, per comprendere insieme come camminare fianco a fianco nella vita.

A cura di Letizia Magri
e del team della Parola di Vita.


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[1] Cf. Mt 16,18-19.
[2] Gv 10,14.
[3] C. Lubich, Parola di Vita luglio 2000, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi, (Opere di Chiara Lubich 5), Città Nuova, Roma, 2017, p. 629.
[4] Gratitudine, in C. Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori 2001, p. 176.
[5] Cf. Gv 13,14.
Fonte: https://www.focolare.org - https://www.focolaritalia.it
Immagine: Signore, tu sai che ti voglio bene, di Bernadette Lopez


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